Vittorio Possenti – PERSONALISMO E FINE DELLA VITA
(Estratto da Paradoxa 4/2009) 1. Nelle accese discussioni che punteggiano il cammino della legge sulla “fine della vita”, è in gioco in primo luogo la persona, la sua dignità, l’idea che ne formiamo. Una buona legge non deve far tutti contenti – cosa auspicabile ma difficile – piuttosto deve possedere solide basi antropologiche e morali e capacità di largo abbracciamento, cercando punti di intesa sin dove possibile e senza andar contro basi riconosciute e diritti/doveri certi. Una buona legge ha dunque bisogno di un retroterra di “evidenze antropologiche”, e di mantenersi nel quadro dei diritti e doveri costituzionalmente stabiliti. Si tratta infatti di una legge dello Stato, che non deve violare la sfera della coscienza, ma cercare un saggio bilanciamento tra i criteri dell’autodeterminazione e della tutela della vita umana. Esso diviene impossibile se i due criteri sono intesi come assoluti: tra l’assolutezza dell’autodeterminazione e l’assolutezza dell’indisponibilità della propria vita non vi è possibilità di intesa. Per questi motivi appare necessario un nuovo sforzo di riflessione personalista. 2. Il personalismo è oggi sulla bocca di molti e numerosi sono i pensatori personalisti, in specie nell’area cattolica. Di ciò ci si deve rallegrare, anzi un inveterato personalista come me si sente