Laura Paoletti – UNA MODERNITÀ PLURALE, NEGATIVA E MOLTO POST-POSTMODERNA

(editoriale di Paradoxa 1/2018) Nell’esercizio della razionalità, nella nostra ricerca di senso, nel tentativo di rispondere alle questioni ultime del nostro stare al mondo, possiamo dirci ancora ‘moderni’? La domanda è dichiaratamente filosofica e si può legittimamente avere la tentazione di lasciarla ai filosofi di professione: tanto più che non è nemmeno subito evidente quale sia la posta in gioco. Se però cediamo alla tentazione, se abbandoniamo il termine ‘moderno’ al linguaggio ordinario, che premia con quest’aggettivo chi (o quel che) è alla moda, aggiornato, attuale – «quant’è attuale!»: uno dei massimi elogi che sappiamo concedere ad un classico del passato – , allora la filosofia ci mette di fronte ad uno specchio che riflette un’immagine poco lusinghiera. Nessuna icona di questa modernità, infatti, è più pertinente del placido ruminante con il quale Nietzsche, nelle prime pagine della Seconda considerazione inattuale, azzarda un fallimentare tentativo di dialogo: il filosofo, malato di storia e di vecchiaia, vorrebbe carpire all’animale il segreto della sua spensierata felicità; e da parte sua il ruminante, «che non sa che cosa sia ieri, che cosa sia domani, [che] salta di qua e di là, mangia, riposa, digerisce, salta di nuovo, e così dalla mattina alla sera,

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Laura Paoletti – RIPENSARE LA PENA: TRA KANT, GIOBBE E L’ULTIMATUM GAME

(editoriale di Paradoxa 4/2017) Un ipotetico lettore di «Paradoxa» che fosse tanto appassionato da non perdersi un numero, e che fosse per giunta dotato di buona memoria, potrebbe trovarsi stavolta in qualche imbarazzo: come tenere insieme nell’ambiente teorico e culturale di una medesima rivista il fascicolo 3/2009, che, riproponendo e rilanciando alcune riflessioni di Vittorio Mathieu, stigmatizzava il Senso perduto della pena, ossia il progressivo venir meno di quest’ultima come architrave del sistema giuridico, e questo fascicolo sulla «giustizia riparativa», che azzarda la messa in questione dell’idea stessa che tra colpa e pena vi sia un nesso logicamente consistente? Sarebbe fin troppo facile cavarsela rimettendo a ciascun curatore le sue responsabilità: in realtà la responsabilità davvero sollecitata è quella di «Paradoxa» (e di rimbalzo di chi la legge), la quale, proponendosi come luogo di tensione e non di conciliazione, è chiamata al tentativo di far reagire in modo creativo prospettive che sono e restano diverse, senza alcuna garanzia che tale tentativo riesca. In via del tutto esplorativa, provo a sottolineare due punti di frizione, che scaturiscono da una lettura incrociata dei due fascicoli e che mi sembra costituiscano altrettante feconde direzioni di approfondimento. Uno degli elementi qualificanti della Restorative Justice

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Paola Grimaldi – LA MATERNITÀ SURROGATA TRA BIOETICA E BIODIRITTO

(estratto da Paradoxa 3/2017) Lo scorso 23 febbraio 2017, con la storica ordinanza della Corte di Appello di Trento, è stata riconosciuta ad una coppia omosessuale la possibilità di essere considerati padri di due gemelli nati da maternità surrogata in Canada riconoscendone, per la prima volta in Italia, la genitorialità congiunta includendo, quindi, anche quello dei due che non aveva legami biologici con il bambino. A distanza di oramai quasi trent’anni dal primo caso di maternità surrogata discusso in Italia nel 1989 e noto come ‘caso Valassina’, questo appena descritto è soltanto l’ultimo dei casi variegati di surrogacy, tema delicato e tanto discusso al giorno d’oggi, in cui si stanno imbattendo studiosi di ogni branca sempre più di frequente. Il presente lavoro si prefigge proprio di condurre una riflessione su siffatte pratiche di maternità surrogata evidentemente sconosciute al nostro ordinamento per i motivi che si illustreranno nel corso dell’esposizione; in particolare si indagherà sulla natura e liceità degli accordi che stanno alla base di tali procedure, sulla conformazione e sui limiti dell’autonomia privata in simili vicende dove grande rilievo assume la portata vincolante del principio del the best interest of the child, a cui sempre dovrebbe tendere la concreta valutazione

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Laura Paoletti – MADRI, OGGI. PER UNA DOTTA IGNORANZA

(editoriale di Paradoxa 3/2017) Ignori per qual via lo spirito entra nelle ossa dentro il seno d’una donna incinta (Qo 11,5) Il problema è tutto nel plurale. Se si potesse intendere il termine ‘madri’ come una semplice iterazione sul piano quantitativo, come clonazione di una nozione solidamente definita, sarebbe tutto decisamente più semplice: ogni singola madre empirica sarebbe – per ricorrere ad una metafora musicale – una variazione sul tema, sull’unico tema della Madre archetipica, e basterebbe un po’ di orecchio per cogliere l’eventuale nota stonata che trasforma la variazione in un altro tema o, peggio, in una stecca: questo è ‘maternità’, questo no; fin qui sì, oltre no. Il problema è che oggi – l’‘oggi’ della modernità e della tecnica, del decremento della fertilità e della proliferazione dei diritti – il plurale lavora ad un livello assai più profondo. Si moltiplicano le madri (virtualmente possibili) di un unico figlio, perché la madre genetica (dell’embrione) non necessariamente coincide con quella che partorisce il nuovo nato, che non necessariamente coincide con quella che se ne prenderà cura. Si moltiplicano, disarticolandosi, gli aspetti biologici, psicologici e cronologici della generazione: così che la ‘madre’ che si desidera essere arriva molto in ritardo rispetto

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Laura Paoletti – LETTURE E LETTORI FACILI E DIFFICILI

(editoriale di Paradoxa 2/2017) Questo fascicolo si offre a due livelli di lettura; ma forse anche a due letture e infine persino a due lettori di tipo diverso: per questo è bene fare chiarezza. Il primo livello, più immediato, è quello di un’ampia ricognizione, che si fa denuncia circostanziata, di sacche di inciviltà: quelle sacche che si creano quando la società (in prima battuta) civile si ripiega su se stessa, frantumandosi in gruppi e comportamenti autoreferenziali che di civile hanno ben poco. Il passo dalla legittima tutela di un’identità, professionale o di altro genere, a quella degenerazione che felicemente il Curatore definisce «corporativismo amorale» è purtroppo breve: lo dimostra la variegata fenomenologia dell’inciviltà qui proposta, che spazia da categorie più ovvie (i politici, per esempio) a quelle assai meno scontate in questo contesto( le associazioni femministe, per esempio). A questo livello, la lettura è istruttiva, persino godibile e tutto sommato facile. Ma proprio perciò rischiosa. Se ci si limitasse a questo, infatti, si correrebbe il concreto pericolo di ritrovarsi membri di diritto dell’ennesima delle società incivili: quella degli autocompiaciuti fustigatori della Casta, che sono tanto più coesi quanto più indistinto e ‘altro’ è il bersaglio dell’indignazione, sempre rivolta a loro,

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Paola Galimberti – OPEN SCIENCE: ALTMETRICS, IMPATTO E CONTROLLO DELLA QUALITÀ

(estratto da Paradoxa 1/2017) MISURARE LA RICERCA Mai come in questi ultimi anni l’enfasi posta sulla misurazione è stata più forte. C’è una richiesta di accountability alle università e agli enti di ricerca da parte del ministero e della società che si traduce nel dover dimostrare il proprio valore (quello del proprio gruppo di ricerca, della propria istituzione, della propria disciplina), nel rendicontare che gli investimenti fatti hanno dato dei buoni esiti, e questo viene fatto preferibilmente attraverso un numero (o diversi numeri). La fiducia nel numero è totale, perché il numero è freddo, oggettivo, comparabile, e più alto è e meglio è. In questa totale fiducia nella oggettività del numero spesso ci si dimentica di capire cosa quel numero esprima effettivamente, o gli si attribuiscono significati impropri. Il fine è la ricerca dell’eccellenza, quella della qualità, quella del ritorno sulla società degli investimenti fatti, ma gli effetti di queste pratiche di misurazione, sia sui comportamenti dei ricercatori che sulle scelte della governance, sono molto seri, talvolta hanno un carattere distorsivo e in alcuni casi hanno conseguenze (negative) irreversibili. I ricercatori sono posti sotto la pressione di dimostrare il loro valore attraverso la produzione di lavori scientifici, il maggior numero

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Laura Paoletti – LOBBISTI A MODO NOSTRO. DIECI ANNI DI «PARADOXA»

(editoriale di Paradoxa 4/2016) È frutto di un caso. Ma che il decimo compleanno di «Paradoxa» cada in un fascicolo dedicato al tema delle lobby è una circostanza fortunata, oltre che fortuita, perché mette in risalto, come meglio non si potrebbe, due tratti salienti della fisionomia della rivista. Il primo, nomen omen, è la paradossalità: in queste pagine viene, infatti, argomentata una tesi che concede molto poco all’opinione comune; una tesi che non solo non è populista, ma che non è nemmeno popolare. A fronte dell’idea diffusa per cui gli interessi corporativi di notai, farmacisti, magistrati, tassisti, sindacati, professori, e via categorizzando, rappresentano il nemico pubblico numero uno del pubblico interesse, gli autori convergono sostanzialmente nell’affermare che le lobby sono in linea di principio un elemento essenziale della vita democratica. Lasciamo al lettore il gusto di confrontarsi con le ragioni che consentono di sostenere una simile posizione: conta sottolineare, qui, che il tentativo sistematico di non cedere mai al punto di vista più ovvio è un filo importante della trama di questi dieci anni; un filo che parte dal primo numero sul carattere positivo del ‘conflitto’ e lega i tanti tentativi di decostruzione di termini utilizzati nel dibattito pubblico come

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Roberta Ricucci – INTEGRAZIONE DELLE SECONDE GENERAZIONI E RELIGIOSITÀ

(estratto da Paradoxa 3/2016) Nell’estate in cui per parlare di religione e immigrazione si discute di burkini e della compatibilità dell’abbigliamento delle donne musulmane con le società europee, ci si dimentica che nella stessa Europa era possibile descrivere le contadine di fine Ottocento (ma in molte zone anche di pochi decenni fa) come donne «con il fazzoletto in testa» e abiti lunghi e neri. Lo scenario era quello di un ruolo femminile legato soprattutto alla fertilità e al lavoro nei campi, connubio che relegava le donne agli importanti compiti della riproduzione e del sostentamento dell’economia domestica. Spesso la memoria vacilla, come già scritto nel volume Cittadini senza cittadinanza, da cui questo testo prende alcuni spunti approfondendoli. Le polemiche si accendono e infervorano seguendo l’aggrovigliarsi di argomenti e messaggi retorici, che avvelenano però la realtà e minano processi di coesione sociale costruiti faticosamente. Infatti, sembrano lontane le discussioni sul rapporto fra religione e seconde generazioni che hanno attirato l’attenzione di studiosi sin dagli attentati alle metropolitane di Londra e Madrid, per giungere sino ai più recenti tragici avvenimenti in Francia e Belgio. Eppure gli elementi della questione sembrano gli stessi: giovani, immigrazione, integrazione, religione. Gli eventi della storia e gli elementi

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Ennio Di Nolfo – IL SISTEMA ATLANTICO E LA GLOBALIZZAZIONE

LE RAGIONI GEOPOLITICHE DI UN TRATTATO COMMERCIALE TRA STATI UNITI ED EUROPA (estratto da Paradoxa 2/2016) 1. Per tutti gli esseri umani è chiaro che la Terra è un globo e come tale essa è sempre stata globalizzata. Nel tempo le conseguenze di tale condizione astronomica sono però mutate. Subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica l’esistenza delle due superpotenze venne sostituita dalla sopravvivenza di un solo paese virtualmente capace di dominare la vita globale. Per un certo periodo alcuni politologi, politici e vari uomini della grande finanza internazionale pensarono che il gigante americano potesse da solo dettare le regole della con-vivenza globale, secondo una propria visione, legata agli interessi americani. Non fu necessario molto tempo perché questa illusione tramontasse. Da principio si comprese che altri pericoli potevano derivare dalla volatilità del mercato finanziario. Poi fu sufficiente che un gruppo di terroristi, apparentemente folli ma sostanzialmente ben organizzati e meglio finanziati, riuscisse a colpire i luoghi simbolici, cioè il cuore della finanza americana a New York e il centro del sistema degli armamenti, il Pentagono, sede del dipartimento della Difesa, a Washington, per mostrare anche ai più riluttanti che la solitudine del potere americano era solo un’illusione e che questa solitudine

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Federico Tomasello – DALLA FINE DELLA STORIA ALLA GUERRA CIVILE MOLECOLARE: SU ALCUNI PARADIGMI DI CONFLITTO DELL’ETÀ URBANA

(estratto da Paradoxa 2/2016) Le ipotesi qui presentate riprendono alcuni contenuti del testo pubblicato dall’autore, La violenza. Saggio sulle Frontiere del politico (Manifestolibri 2015)   Il compiersi a ritmi sempre crescenti di quella che nel 1970 Henri Lefebvre definiva Rivoluzione urbana fa oggi dell’urbanizzazione un tema rilevante per ogni dominio delle scienze umane, sociali e politiche. Gli studiosi parlano dell’avvento di una civiltà urbana, mentre nella comunità internazionale si fa uso del termine Urban age per designare il fatto che ben oltre metà del genere umano vive ormai in aree urbanizzate, e che questa porzione pare destinata a crescere esponenzialmente fino a raggiungere il 75% degli abitanti della Terra entro il 2050 (cfr. http://unhabitat.org). I geografi sono impegnati nello studio di processi che consentono di pensare come un unico spazio urbanizzato anche macroaree regionali per il livello di integrazione del loro sistema di infrastrutture, trasporti, organizzazione del lavoro, del commercio e dei servizi. Il generale accordo su una visione ‘urbano-centrica’ dell’attuale momento geostorico ha fatto perciò dell’urbanizzazione una sorta di archivio generale cui rubricare ogni discorso sullo sviluppo delle geografie umane, al punto che il mondo stesso viene rappresentato sovente attraverso metafore urbane, come un ‘metacittà’ avente il suo ‘centro’

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