Laura Paoletti – SPAZI CURVI

(Editoriale di Paradoxa 2/2023) Il modo in cui, per lo più, ci si rappresenta l’azione di una forza nello spazio è ancora largamente debitore del paradigma newtoniano. La forza di gravità terrestre, per esempio, viene immaginata come quella capacità del nostro pianeta di agire a distanza su corpi di massa significativamente più piccola, attirandoli a sé senza toccarli: in questo tipo di rappresentazione, lo spazio ha il ruolo di una semplice cornice, sostanzialmente indifferente ai drammi delle prove di forza che si svolgono al suo interno. Per quanto intuitivo e apparentemente ovvio, questo modello è obsoleto e la fisica contemporanea lo ha sostituito con quello relativistico che, secondo l’icastica formulazione del celebre fisico John Archibald Wheeler, può essere sintetizzato così: «Lo spazio-tempo dice alla materia come muoversi, la materia dice allo spazio-tempo come curvarsi» (Geons, Black Holes and Quantum Foam, 2000, p. 235). Secondo quest’altra prospettiva, la gravità non è una misteriosa azione a distanza che un corpo esercita su un altro, ma una curvatura dello spazio, il quale si piega, come fa un lenzuolo teso sotto il peso di un grave, col risultato che il corpo più piccolo scivola verso quello più grande per il semplice motivo che è

Continua

Emidio Diodato – L’ILLUSIONE DI ESSERE FUORI DAL GLOBO

Un’Ucraina isolata dall’Occidente e sempre più politicamente subordinata alla Russia incoraggerebbe la scelta sconsiderata della Russia a favore del suo passato imperiale Zbigniew Brzezinski, Strategic Vision (Basic Book: New York, 2012, p. 150) (Estratto da Paradoxa 2/2023) È opinione diffusa che la guerra in Ucraina stia trasformando gli equilibri geopolitici. Più vago è cosa si debba intendere con equilibri geopolitici. Le teorie geopolitiche hanno avuto presa nelle dittature del primo Novecento e oggi trovano largo consenso solo nei circoli intellettuali dei regimi autoritari, come la Russia. Gli studi di geopolitica critica, tuttavia, mostrano che qualcosa che possiamo considerare geopolitico è sotteso anche alle visioni strategiche dei decisori politici o dei loro principali consiglieri nei regimi democratici, a partire dagli Stati Uniti. In un lungo telegramma inviato da Mosca nel 1946, il giovane diplomatico statunitense George F. Kennan scriveva che il governo di Washington avrebbe dovuto contenere l’espansionismo sovietico senza concessioni. La sua visione si basava sulla convinzione che non ci potesse essere un modus vivendi con l’Unione Sovietica a causa del fanatismo di una forza politica, il partito di Stalin, che poteva disporre «delle energie di uno dei più grandi popoli del mondo e delle risorse del più ricco territorio

Continua

Paradoxa, Anno XVII – Numero 2 – Aprile/Giugno 2023

I nuovi equilibri geopolitici a cura di Emidio Diodato Lo specifico del «paradigma geopolitico» consiste nel complicare l’idea che lo spazio sia il semplice scenario, politicamente indifferente, di forze e conflitti che si dispiegano secondo leggi del tutto autonome e che si riflettono poi in una certa configurazione di confini e suddivisioni territoriali, che lo spazio si limita a subire. Non che la geografia non sia anche il risultato della politica : è la politica che dà senso allo spazio e non viceversa. Ma lo spazio non è solo un ricettacolo passivo, come emerge già solo dal fatto che ‘senso’ è un concetto in sé strutturalmente spaziale, per cui avere un senso significa essere orientato in una certa direzione. Il punto della geopolitica è che lo spazio geografico nudo e crudo, quello brutalmente materiale, scabro, mai del tutto riassumibile nella levigatezza delle forme geometriche con cui si prova a rappresentarlo, ‘curva’ qualsiasi azione abbia luogo (appunto) sul piano della politica internazionale, perché contribuisce in modo determinante a suggerirla, legittimarla, agevolarla o ostacolarla. Chi voglia parlare o scrivere di crisi dell’Occidente (e sono in molti) ha l’obbligo di definire con ragionevole precisione che cosa significa ‘crisi’ e che cosa è l’Occidente.

Continua

Gianfranco Pasquino – L’OCCIDENTE ON MY MIND

(Estratto da Paradoxa 1/2023) Ho imparato, non immediatamente, da Giovanni Sartori che bisogna sapere «scrivere contro». Vale a dire che, molto di frequente, la tematica che riteniamo rilevante è stata affrontata da altri in maniera che non pare convincente, che le spiegazioni, ma talvolta la stessa impostazione, sono inadeguate e fuorvianti, che la conclusione, per quanto molto sbandierata e diventata popolare, è sostanzialmente sbagliata. Allora, per chi fa lavoro intellettuale corre l’obbligo scientifico di scrivere, non trascurando, ma prendendo le mosse dall’esistente, sfidandolo, andando oltre perseguendo una spiegazione migliore. Però, nessuna spiegazione sarà migliore se si riferisce ad un unico caso. Per quanto approfonditi, esaustivi, persino brillanti gli studi di un unico caso poco o nulla sono in grado di dire su quello che è ‘normale’ e su quello che, al contrario, è ‘eccezionale’. Neppure quando quegli studi si accumulano potranno portare a conclusioni valide. Sapranno, certo, sollevare interrogativi e suggerire conseguenze. Problematizzeranno, ma nessuna spiegazione riuscirà ad emergere da descrizioni, anche numerose e eccellenti (sì, se ne trovano, anche se non sono numerose), ma ‘singolari’. Se, parole di Sartori, «chi conosce un solo caso non conosce neppure quel caso», colgono il punto, a mio modo di vedere sicuramente sì,

Continua

Laura Paoletti – IDENTIKIT DELL’OCCIDENTE

(Editoriale di Paradoxa 1/2023) Quando si scatta una foto o si mette mano a un ritratto è opportuno, normalmente, che il soggetto non si muova, per evitare che l’immagine risulti sfocata. In queste pagine accade esattamente il contrario: la messa a fuoco dell’Occidente è il risultato della rinuncia metodologica ad immobilizzarlo in una qualche rigida definizione identitaria, così che, come in un volto, la libertà di movimento delle sue espressioni più caratteristiche possa lasciarne affiorare l’inconfondibile fisionomia complessiva. Certo, qualche definizione qua e là compare, come quella proposta in avvio dal Curatore, per cui l’occidente è una «combinazione giudiziosa di geografia e storia, politica democratica, valore della persona» (p. 15). Ma, in questo come in altri casi, il lettore è giudiziosamente avvertito del fatto che si tratta comunque di formulazioni orientative, operative, provvisorie, necessariamente manchevoli di questo o quell’elemento essenziale: e questa strutturale resistenza alla definitività segnala una costitutiva incompiutezza, che non è affatto – su questo gli autori sono compattamente schierati – un segno di crisi o di declino, ma è anzi un motivo d’orgoglio, che va pensato, articolato, rivendicato. Il punto è che l’Occidente non è un dato di fatto, semmai – per dirla con i termini di

Continua

Paradoxa, Anno XVII – Numero 1 – Gennaio/Marzo 2023

Copertina

Orgogliosamente Occidente a cura di Gianfranco Pasquino Chi voglia parlare o scrivere di crisi dell’Occidente (e sono in molti) ha l’obbligo di definire con ragionevole precisione che cosa significa ‘crisi’ e che cosa è l’Occidente. Questo esercizio di rigore cambia la prospettiva: la retorica del declino ha fatto il suo tempo ed è venuto il momento di pensare, articolare, rivendicare i motivi d’orgoglio (e sono molti) di appartenere a questo crocevia di geografia e storia, cultura, politica democratica, valore della persona.    

Continua

Mario Morcellini – LA SCISSIONE GIOVANI/SOCIETÀ. UNA TERRA DESOLATA

(Estratto da Paradoxa 4/2022) La completezza resta l’obiettivo della ricerca intellettuale… e quanto più sensibile è l’apprensione dell’incompiuto, tanto più forte è il richiamo della totalità. Thomas Harrison, L’arte dell’incompiuto I cambiamenti nella condizione giovanile disegnano una vera e propria cosmologia di novità, al punto che i termini ‘crisi’ e ‘rischio’ sono sovrarappresentati rispetto a quelli di ‘speranza’ e ‘futuro’. Quanto più siamo incerti nel disegnare una nuova cartografia, tanto più ricorriamo a un lessico talora esoterico come quello che fa riferimento a supposti mutamenti antropologici. È complessivamente una concettualizzazione incerta, ma resta vero che la concentrazione di crisi strutturali e culturali che i giovani pagano finisce per aumentare il fossato tra la nostra conoscenza e la messa in scena dei loro comportamenti, quasi sempre collegati a una iperstimolazione da parte della comunicazione soprattutto digitale, che oggi sembra quasi l’unico testamento cui i nuovi venuti si appoggiano. È ovviamente difficile costruire tipologie narrative di esistenze sempre più complesse e ora scosse dalla doppia emergenza della pandemia e di una guerra insensata. Eppure una situazione così disarticolata apre per definizione ad una visione che promette significative scoperte empiriche e teoriche, a condizione che il nostro sapere sappia seguire con attenzione l’impatto

Continua

Laura Paoletti – NOI E/O LORO

(Editoriale di Paradoxa 4/2022) C’era una volta, molti anni fa, un momento preciso della giornata – per l’esattezza le 23.30 in punto – in cui l’Italia tutta si ritrovava affratellata da un sottile senso di angoscia: era quando, sullo sfondo di un cielo nuvoloso e col sottofondo mesto e solenne delle Armonie del pianeta Saturno di Roberto Lupi, lo schermo televisivo mostrava il lento movimento di un traliccio che preludeva alla comparsa della fatidica scritta: «Fine delle trasmissioni». Lo stop alla comunicazione era unilaterale e irrevocabile: da quel momento, fino al giorno successivo, la televisione non aveva più niente da dire o da offrire, e non c’erano alternative. La resa dell’utente era inevitabile. Il sottotitolo di questo fascicolo evoca del tutto consapevolmente quello stesso senso di smarrimento, appena attutito da un punto di domanda, che si prova quando si è, come si dice, piantati in asso; e lo fa selezionando subito su base anagrafica la comunità in grado di cogliere l’allusione preistorica: una comunità che si raccoglie attorno allo sgomento provocato dall’eventualità, sentita come nient’affatto remota, che si interrompa la trasmissione nel senso più radicale del termine, quello del tramandamento, della tradizione, di quel passaggio di consegne tra generazioni, senza

Continua

Adriano Fabris – LO SPAZIO DELLE HUMANITIES NEGLI AMBIENTI TECNOLOGICI

(Estratto da Paradoxa 3/2022) Davanti a un bivio Come spesso è accaduto in passato, nella storia del pensiero e non solo, anche oggi ci troviamo di fronte a un bivio. La strada che verrà scelta a questo bivio inciderà sulla mentalità e sui comportamenti delle generazioni future. Solo che, come in precedenza spesso è avvenuto, non ci rendiamo conto che è necessario prendere una decisione. Non avvertiamo il fatto che, almeno in parte, possiamo scegliere da quale parte andare. Il bivio di cui parlo riguarda il modo in cui consideriamo lo sviluppo attuale e il futuro delle nostre conoscenze. Parlo dell’acquisizione, dell’elaborazione, dell’utilizzo e della portata delle conoscenze umane. Parlo del significato stesso del termine ‘conoscenza’. L’alternativa è quella fra una conoscenza sviluppata dagli esseri umani, riferita agli esseri umani ed estesa da essi al mondo, e una conoscenza che altre entità sono in grado di elaborare e che non necessariamente è posta sotto il controllo umano. La prima forma di conoscenza è il sapere delle humanities; la seconda è quella attivata dalle tecnologie. Dobbiamo approfondire meglio, sia pur in breve, la differenza fra queste due forme e il modo in cui esse, oggi, s’intrecciano fra loro. Sono gli esseri

Continua

Laura Paoletti – COME IN UNO SPECCHIO

Poiché ora vediamo come in uno specchio […] ma allora vedremo faccia a faccia (1 Cor 13, 12) (Editoriale di Paradoxa 3/2022) Potrebbe sembrare una battaglia di retroguardia: strappare un fazzoletto di spazio al paradigma epistemologico dominante, in modo che questo, per gentile concessione, consenta alla riserva indiana delle humanities o scienze umane (lingua e lessico, si sa, sono imposti dai vincitori) di sopravvivere ancora per un po’; purché, certo, si conformino a criteri di valutazione e di ripartizione dei finanziamenti del tutto esogeni e funzionali a far risaltare la loro irrilevanza e inutilità. In realtà, come il lettore potrà cogliere fin dalle prime pagine, la domanda guida di questo fascicolo rivela un tratto decisamente ironico, perché l’ambizione di fondo non è certo quella (perdente in partenza) di dimostrare che forse, a ben guardare e con tutte le cautele del caso, un piccolo spazio per le discipline umanistiche ancora si può salvaguardare, ma quella di proporre riflessioni e argomenti che in definitiva puntano ad un ribaltamento dei presupposti stessi del paradigma tecnologico: i quali presupposti – questo il Leitmotiv dei contributi che seguono – tecnologici non sono. La messa a punto di alcuni strumenti concettuali fondamentali – come la distinzione

Continua