Laura Paoletti – LA ‘NOSTRA’ AFRICA TRA DOGMA E MITO

(Editoriale di Paradoxa 2/2024) «Gli europei hanno perso la capacità di costruire miti o dogmi e quando ne abbiamo bisogno siamo dipendenti dalle reliquie del nostro passato. Ma la mente degli africani si muove con naturalezza e semplicità su questi sentieri oscuri e profondi» (K. Blixen, Out of Africa, Londra 2015). Il noto romanzo di Karen Blixen trabocca di affermazioni come questa, che descrivono con piglio sicuro tratti caratteristici e funzionamento della ‘mente’ africana; questa in particolare, però, nella sua involontaria paradossalità, è rivelativa come un atto mancato: nell’attribuire ai ‘nativi’ la capacità – che noi europei avremmo perduto – di muoversi sugli oscuri terreni del mito, infatti, tradisce la poderosa operazione di mitopoiesi con cui l’autrice reinventa, e così addomestica, l’estraneità di quella che diventa la ‘sua’ Africa. È un’operazione in certa misura inevitabile. Se, però, al mito per molti versi simile dell’ ‘orientalismo’, a partire dall’omonimo saggio di Edward Said del 1978, abbiamo imparato a guardare con cautela, quella della ‘nostra’ Africa è un’idea che attende ancora una piena demitizzazione. Le pagine che seguono offrono un contributo in questa direzione, decostruendo, dati alla mano, alcuni luoghi comuni particolarmente efficaci nel modellare il nostro immaginario. È interessante, per esempio,

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Paradoxa, Anno XVIII – Numero 2 – Aprile/Giugno 2024

L’Africa tra passato e futuro a cura di Raffaella Gherardi e Vera Negri Zamagni L’immaginario occidentale relativo al continente africano è il frutto di uno sguardo mitopoietico volto ad addomesticarne l’alterità. Le pagine di questo fascicolo si pongono l’obiettivo di smascherare, dati alla mano, pregiudizi radicati e convinzioni diffuse. Si scopre, per esempio, che i flussi migratori africani avvengono principalmente all’interno del continente e che la percentuale degli emigranti africani è inferiore a quella degli asiatici e degli europei. Inoltre, l’idea che le società africane siano intrinsecamente refrattarie alla democrazia per motivi etnico-tribali viene smontata, rivelando come il tribalismo sia spesso un prodotto delle politiche coloniali. Alla convinzione ‘occidentalocentrica’ che l’Africa – come realtà unitaria, coerente e autonoma – in fondo non esista, viene contrapposto il dato di fatto di una agency emergente e in crescita, che rivendica la propria identità e capacità di autodeterminazione.  

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Claudia Mancina – ESSERE PROGRESSISTI NELLA CRISI DELLA COSCIENZA OCCIDENTALE

(Estratto da Paradoxa 1/2024) Che cosa significa essere progressisti oggi? La parola viene usata in modo generico e quasi sciatto, come in mancanza di meglio. I progressisti sono quelli che credono nel progresso? Sono quelli che sono di sinistra ma non troppo? Sono i socialdemocratici che vorrebbero rispolverare la loro antica e un po’ consunta identità? Nel linguaggio politico italiano (e forse europeo) il termine ha quasi una funzione eufemistica. Pensiamo all’Alleanza dei progressisti, che si formò nel 1994 con la partecipazione del Pds di Occhetto e di altre forze di sinistra, che andavano da Alleanza democratica a Rifondazione comunista, passando per i Cristiano sociali e per il Partito socialista di Del Turco. Se si guarda a questo composito schieramento, è difficile sfuggire all’impressione che il termine ‘progressisti’ sia stato scelto per consentire a sigle così diverse di stare insieme, senza scegliere – come forse sarebbe stato meglio – un’idea unificante. Una via seguita anche oggi dai socialisti europei, il cui gruppo parlamentare si chiama ‘Alleanza progressista dei socialisti e democratici’. E del resto i gruppi parlamentari italiani del Partito democratico portano la specificazione: ‘Italia democratica e progressista’. Anche in questi casi, chiaramente, per poter tenere insieme ispirazioni diverse, o

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Laura Paoletti – PROGRESSISTI SI’, MA…

(Editoriale di Paradoxa 1/2024) L’identikit del progressismo che emerge da questo fascicolo è un ritratto à la Picasso: singoli elementi figurativi sono chiaramente riconoscibili, ma all’occhio non è concesso rilassarsi nella percezione di una forma complessiva capace di armonizzarli in un’immagine stabile, come se prospettive diverse scomponessero il quadro d’insieme su una pluralità di dimensioni non necessariamente compossibili in un unico spazio. Il che, per altro, conferma una tendenza generale: è dal numero del 2008 su ‘destra’ e ‘sinistra’ che «Paradoxa» si interroga sulle categorie che strutturano e orientano lo spazio della politica: e, in un percorso di ricerca che ha chiamato in causa, oltre a quella coppia in certo senso primigenia, diverse altre nozioni cardine della scienza e della filosofia politica – ‘democrazia’, ‘liberalismo’, ‘cultura politica’ –, si è reso via via più evidente che immaginare tale spazio come compreso e compresso in un sistema di assi cartesiani, capaci di attribuire a ciascun punto una posizione univocamente determinata, è semplicistico. I conti, come si dice, non tornano: le coppie di assi si moltiplicano (Rigotti) e non sempre danno luogo a coordinazioni stabili e chiarificatrici. Il ‘progressismo’ non fa eccezione: chi cercasse tra queste pagine un’icona, un’immagine stilizzata adatta a

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Paradoxa, Anno XVIII – Numero 1 – Gennaio/Marzo 2024

Copertina Paradoxa 1/2024 piccola

Progressismo: prospettive, criticità, attualità a cura di Claudia Mancina Il concetto di progresso è oggi bisognoso di un radicale ripensamento. Nessun orientamento teleologico a priori, nessuno scontato guadagno morale, necessità di distinguere il progresso scientifico in sé. Da ciò scaturisce un progressismo riveduto e corretto, radicalmente non ideologico e che si potrebbe definire a buon diritto critico: un atteggiamento politico che consiste fondamentalmente nella capacità di guardare in modo non sfavorevole e non timoroso al cambiamento, il quale, però, non è ritenuto un valore in sé; un atteggiamento che per queste ragioni è essenzialmente riformistico  piuttosto che massimalista o rivoluzionario; un atteggiamento che non ha remore nel conservare e tramandare tutto ciò che del passato è prezioso e decisivo per costruire il futuro.    

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Stefano Quintarelli – LA METAFORA DELL’INTELIGENZA ARTIFICIALE: LIMITI E POTENZIALITA’

(Estratto da Paradoxa 4/2023) Sarà vera intelligenza? ‘Intelligenza artificiale’ è una metafora. Particolarmente azzeccata, date le numerose analogie che su di essa si possono basare, ma pur sempre una metafora. Quando conosciamo bene una cosa, i limiti delle metafore che la riguardano ci sono evidenti: non ci addentreremmo in speculazioni se ‘una montagna di libri’ sia o meno un ambiente adatto alla riproduzione degli stambecchi, anche se non si può escludere che qualcuno, in particolare attorno all’epoca di Gutenberg, possa averlo fatto. Lo slogan ‘intelligenza artificiale’ è nato il 2 settembre 1955, quando gli accademici chiesero alla Fondazione Rockefeller un finanziamento di 13500 dollari per poter svolgere un workshop estivo con una decina di scienziati, della durata di un paio di mesi, da tenersi nell’estate del 1956 presso l’Università di Dartmouth. I proponenti erano alcuni mostri sacri della matematica e dell’informatica dell’epoca: McCarthy, Minsky, Rochester e Shannon. Proponiamo che uno studio sull’intelligenza artificiale, della durata di due mesi e composto da dieci persone, venga condotto durante l’estate del 1956 al Dartmouth College di Hanover, nel New Hampshire. Lo studio deve procedere sulla base della congettura che ogni aspetto dell’apprendimento o di qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza possa essere descritto in linea

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Paradoxa, Anno XVII – Numero 4 – Ottobre/Dicembre 2023

Copertina Paradoxa 4/2023 - piccola

IA – Tu chiamala, se vuoi, Intelligenza a cura di Stefano Quintarelli Interagire con un’intelligenza di ultima generazione come ChatGPT, anche da navigati fruitori di tecnologia, suscita un misto di ammirazione e inquietudine: da un lato, l’ottimistica fiducia in nuovi modelli di ragionamento; dall’altro, la sottile preoccupazione che, presto o tardi, la questione si farà giuridica, etica, sociale. Le pagine di questo numero scavano in questa ambivalenza. Sono, sì, un utile prontuario per orientarsi in una realtà e in un linguaggio (fatto di «prompt», «LLM», «embedding »…) non sempre accessibili. Ma, a un livello più profondo, lasciano affiorare la questione strutturale se abbia davvero senso parlare dell’IA generativa in termini di ‘intelligenza’. No, la metafora, la creatività, il paradosso, non possono in toto essere ricondotti – e ridotti – a un sistema di ragionamento automatico.  

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Laura Paoletti – TRA ZUCKERBERG E HEGEL

(Editoriale di Paradoxa 3/2023) Per mettersi in sintonia, emotiva prima che intellettuale, con queste pagine, sarebbe utile riguardare il film del 2010 di David Fincher, The Social Network, che racconta la nascita di Facebook dall’idea di un introverso studente di Harvard, non particolarmente brillante nelle interazioni sociali. In particolare, è interessante l’effetto di ambivalenza che la narrazione suscita e vuole suscitare. Per un verso, lo spettatore è portato a riflettere sulla paradossale solitudine di colui che ha messo in contatto miliardi di persone e che nell’ultima, tristissima scena, aggiorna compulsivamente la pagina del proprio profilo sperando in una risposta che non arriva. Per altro verso, però, lo stesso spettatore non può fare a meno di lasciarsi trascinare dall’entusiasmo per l’eroica epopea di un ragazzetto che, grazie alla sua creatività (e furbizia), passo dopo passo fa raggiungere alla sua creatura dimensioni colossali, acquisendo di riflesso la statura di un semidio, al di sopra di convenzioni e regole. È difficile reprimere un moto di soddisfazione e genuina ammirazione quando in occasione di un dibattimento, ad un avvocato di parte avversa che, vedendolo distratto, chiede al signor Zuckerberg se può degnarsi di prestargli la sua attenzione, il giovanissimo miliardario risponde che no, un

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Stefano Zamagni – IL RICONOSCIMENTO NELL’ERA DEL SINGOLARISMO. LIBERTÀ, GIUSTIZIA SOCIALE, EMANCIPAZIONE

(Estratto da Paradoxa 3/2023) Due sono i tipi di crisi che è possibile identificare nella storia delle nostre società: dialettica l’una, entropica l’altra. Dialettica è la crisi che nasce da un conflitto fondamentale che prende corpo entro una determinata società ma che contiene, al proprio interno, i germi o le forze del proprio superamento (va da sé che non necessariamente l’uscita dalla crisi rappresenta un progresso rispetto alla situazione precedente). Esempi storici e famosi di crisi dialettica sono quelli della rivoluzione americana, della rivoluzione francese, della rivoluzione di ottobre in Russia nel 1917. Entropica, invece, è la crisi che tende a far collassare il sistema, per implosione, senza modificarlo. Questo tipo di crisi si sviluppa ogniqualvolta la società perde il senso – cioè, letteralmente, la direzione – del proprio incedere. Anche di tale tipo di crisi la storia ci offre esempi notevoli: la caduta dell’impero romano; la transizione dal feudalesimo alla modernità; il crollo del muro di Berlino e dell’impero sovietico. Perché è importante tale distinzione? Perché sono diverse le strategie di uscita dai due tipi di crisi. Non si esce da una crisi entropica con aggiustamenti di natura tecnica o con provvedimenti solo legislativi e regolamentari – pure necessari

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Paradoxa, Anno XVII – Numero 3 – Luglio/Settembre 2023

Singolarismo e Riconoscimento a cura di Stefano Zamagni Il singolarismo è l’esigenza di essere un individuo speciale, diverso da tutti gli altri, valorizzato, ammirato, amato per i propri talenti e la propria unicità. L’imporsi dell’ideologia meritocratica, l’incremento delle disuguaglianze, lo strapotere dei big data parrebbero trovare legittimazione in tale chiave. Rispetto a questo, le dicotomie con cui strutturiamo lo spazio socio-politico – destra e sinistra, libertà e giustizia, privato e pubblico, interesse e gratuità – non sono più efficaci. Il tertium è rintracciato nella categoria del riconoscimento, che trasfigura il conflitto in una relazione di libertà. La questione di fondo è se il singolo possa esser ricompreso in questo gioco dialettico o, piuttosto, se ne sottragga.        

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