Paradoxa, Anno XVII – Numero 3 – Luglio/Settembre 2023

Singolarismo e Riconoscimento a cura di Stefano Zamagni Il singolarismo è l’esigenza di essere un individuo speciale, diverso da tutti gli altri, valorizzato, ammirato, amato per i propri talenti e la propria unicità. L’imporsi dell’ideologia meritocratica, l’incremento delle disuguaglianze, lo strapotere dei big data parrebbero trovare legittimazione in tale chiave. Rispetto a questo, le dicotomie con cui strutturiamo lo spazio socio-politico – destra e sinistra, libertà e giustizia, privato e pubblico, interesse e gratuità – non sono più efficaci. Il tertium è rintracciato nella categoria del riconoscimento, che trasfigura il conflitto in una relazione di libertà. La questione di fondo è se il singolo possa esser ricompreso in questo gioco dialettico o, piuttosto, se ne sottragga.        

Continua

Gianfranco Pasquino – L’OCCIDENTE ON MY MIND

(Estratto da Paradoxa 1/2023) Ho imparato, non immediatamente, da Giovanni Sartori che bisogna sapere «scrivere contro». Vale a dire che, molto di frequente, la tematica che riteniamo rilevante è stata affrontata da altri in maniera che non pare convincente, che le spiegazioni, ma talvolta la stessa impostazione, sono inadeguate e fuorvianti, che la conclusione, per quanto molto sbandierata e diventata popolare, è sostanzialmente sbagliata. Allora, per chi fa lavoro intellettuale corre l’obbligo scientifico di scrivere, non trascurando, ma prendendo le mosse dall’esistente, sfidandolo, andando oltre perseguendo una spiegazione migliore. Però, nessuna spiegazione sarà migliore se si riferisce ad un unico caso. Per quanto approfonditi, esaustivi, persino brillanti gli studi di un unico caso poco o nulla sono in grado di dire su quello che è ‘normale’ e su quello che, al contrario, è ‘eccezionale’. Neppure quando quegli studi si accumulano potranno portare a conclusioni valide. Sapranno, certo, sollevare interrogativi e suggerire conseguenze. Problematizzeranno, ma nessuna spiegazione riuscirà ad emergere da descrizioni, anche numerose e eccellenti (sì, se ne trovano, anche se non sono numerose), ma ‘singolari’. Se, parole di Sartori, «chi conosce un solo caso non conosce neppure quel caso», colgono il punto, a mio modo di vedere sicuramente sì,

Continua

Laura Paoletti – IDENTIKIT DELL’OCCIDENTE

(Editoriale di Paradoxa 1/2023) Quando si scatta una foto o si mette mano a un ritratto è opportuno, normalmente, che il soggetto non si muova, per evitare che l’immagine risulti sfocata. In queste pagine accade esattamente il contrario: la messa a fuoco dell’Occidente è il risultato della rinuncia metodologica ad immobilizzarlo in una qualche rigida definizione identitaria, così che, come in un volto, la libertà di movimento delle sue espressioni più caratteristiche possa lasciarne affiorare l’inconfondibile fisionomia complessiva. Certo, qualche definizione qua e là compare, come quella proposta in avvio dal Curatore, per cui l’occidente è una «combinazione giudiziosa di geografia e storia, politica democratica, valore della persona» (p. 15). Ma, in questo come in altri casi, il lettore è giudiziosamente avvertito del fatto che si tratta comunque di formulazioni orientative, operative, provvisorie, necessariamente manchevoli di questo o quell’elemento essenziale: e questa strutturale resistenza alla definitività segnala una costitutiva incompiutezza, che non è affatto – su questo gli autori sono compattamente schierati – un segno di crisi o di declino, ma è anzi un motivo d’orgoglio, che va pensato, articolato, rivendicato. Il punto è che l’Occidente non è un dato di fatto, semmai – per dirla con i termini di

Continua

Paradoxa, Anno XVII – Numero 1 – Gennaio/Marzo 2023

Copertina

Orgogliosamente Occidente a cura di Gianfranco Pasquino Chi voglia parlare o scrivere di crisi dell’Occidente (e sono in molti) ha l’obbligo di definire con ragionevole precisione che cosa significa ‘crisi’ e che cosa è l’Occidente. Questo esercizio di rigore cambia la prospettiva: la retorica del declino ha fatto il suo tempo ed è venuto il momento di pensare, articolare, rivendicare i motivi d’orgoglio (e sono molti) di appartenere a questo crocevia di geografia e storia, cultura, politica democratica, valore della persona.    

Continua

Danilo Breschi – RIGHT IS MY COUNTRY OR LEFT IS MY COUNTRY. L’ITALIA COME FAZIONE, NON NAZIONE

(estratto da Paradoxa 2/2020) Sollevare la questione dell’identità italiana è come scoperchiare il vaso di Pandora pur conoscendo in anticipo il nefasto finale previsto da quell’antico mito greco. In altre parole equivale ad un gesto suicida, comunque masochistico. Oppure significa adempiere al compito eminentemente filosofico di preferire sempre e comunque la verità a tutto il resto, incluso l’amor patrio. Insomma, l’obbligo di dire come stanno davvero le cose. In ogni caso, chiamati a rendere conto di cosa significhi essere italiani, il velo cade e il re resta nudo. Dunque abbiamo cessato di essere una nazione. Difficile stabilire il quando, la data esatta, il periodo preciso. Anche dopo l’8 settembre 1943 si sono avuti momenti di recupero, magari parziale, della nostra compattezza di compagine nazionale. Gli stessi anni Settanta sono stati ambivalenti in tal senso: sia la tragica conferma di una lacerazione da lungo tempo presente nel tessuto connettivo nazionale sia la testimonianza di una complessiva tenuta e di una forza di contenimento, quanto meno inerziale, ancora attiva in quel tessuto così lacerato.

Continua

Laura Paoletti – AUTOBIOGRAFIA DELLA ‘NON’ NAZIONE

(editoriale di Paradoxa 2/2020)   Io non mi sento italiano/Ma per fortuna o purtroppo lo sono Giorgio Gaber   Più di altre volte, il titolo scelto dal Curatore è efficace nel restituire intenti, esiti e tensioni interne dell’operazione tentata con questo numero. Nonostante non arrivi ad esser formulato con il carattere esplicito di una domanda o come un’aperta alternativa tra due opzioni, il sospetto amletico, pudicamente trattenuto dalle parentesi, è, a ben guardare, quello che dà il tono all’intero fascicolo: così che la questione dell’essere italiani si viene via via trasformando, nel susseguirsi di contributi e analisi, in una riflessione sui molti sensi in cui si può (si deve?) non esserlo. E poiché anche il ‘non’, come l’essere, si dice in molti modi, gli autori si producono in un ampio ventaglio di registri del ‘negativo’, che va dalla constatazione al suggerimento al divieto; che va dal vigoroso e appassionato rifiuto dell’idea stessa di patria, alla più cauta presa di distanza critica che l’appartenenza europea invita ad esercitare nei confronti di un’identità compresa in termini ingenuamente ed esclusivamente nazionali; dal ripensamento in chiave contemporanea delle impietose analisi del «carattere degli italiani» che si trovano tra le pagine di Leopardi, Gobetti, Gramsci,

Continua

Paradoxa, Anno XIV – Numero 2 – Aprile/Giugno 2020

Essere (o non essere) italiani a cura di Gianfranco Pasquino La posta in gioco, quando ci si interroga sull’identità nazionale, è la possibilità di un sentire comune (vissuti, storie, valori, tradizioni), dal quale ‘noi’ italiani abbiamo spesso la tentazione di chiamarci fuori. Un sentimento del ‘non’, vale a dire la resistenza ad accettare quel che siamo senza averlo scelto. Forse dipende dal guardare a noi stessi come soggetti tutti ‘moderni’, cioè autonomi, responsabili, liberi di deciderla, la propria identità. Ma occorre fare i conti con la realtà che non tutto è scelto, voluto. Bisogna riconciliarsi con il fatto che, comunque la si metta, l’essere italiano precede il non sentirsi tale.   Indice:

Continua

Laura Paoletti – A SCUOLA DI IDENTITÀ

(editoriale di Paradoxa 3/2018) Una delle serie televisive più seguite dello scorso anno –Tredici (Thirteen Reasons Why), tratta da un romanzo di Jay Asher – mette in scena in modo molto efficace, talvolta crudo, il disorientamento profondo di un gruppo di adolescenti alle prese con un’ordinaria realtà fatta di scuola, sport, amicizia, amore e sesso, che viene squassata dal suicidio di una di loro, Hannah Baker. Ognuno dei tredici episodi della serie illustra una delle ragioni che hanno condotto la ragazza al gesto disperato: è lei stessa a spiegarle in una lunga testimonianza postuma affidata a delle audiocassette, che raccolgono il suo racconto testamentario attraversato da una violenza via via più esplicita. Ogni audiocassetta è rivolta ad un destinatario specifico, chiamato in causa per essere più o meno profondamente coinvolto nella responsabilità della tragedia. Il contrasto tra l’onnipresenza degli smartphone, che mediano praticamente ogni tipo di interazione tra i protagonisti (non ultimo il cyber-bullismo, che svolge un ruolo significativo nella catena degli eventi), e la scelta di questo medium così antiquato da sembrare ridicolo, così smaccatamente analogico e poco digitale, si carica di spessore metaforico: in fondo, sottrarsi all’iperconnessione, mettersi fuori dal circuito vorticoso di sms e post, significa già,

Continua

Vittorio Mathieu – CONFLITTO E IDENTITÀ

1. In campo strettamente filosofico il rapporto tra identità e conflitto s’inarca  tra due classici  su cui molto si è scritto: il frammento 2 di Anassimandro e  l’inizio della figura dialettica signoria-schiavitù nella Fenomenologia dello spirito di Hegel. Nel primo testo l’identità naturale è presentata come un prevaricare degli enti gli uni sugli altri, per cui le cose “rendono l’una all’altra il fio dell’ingiustizia, secondo l’ordine  del tempo”. Nel secondo testo l’identità delle persone singole si afferma con  metterle in gioco  l’una contro l’altra in un “combattimento per la vita e per la morte”: finchè il perdente, sentendo nell’incombere della morte l’ “immane potenza del negativo” , non si dà schiavo, trasferendo la propria identità in quella del vincitore. In questo modo ha inizio la vita sociale. Quasi due secoli dopo la Fenomenologia dello spirito  possiamo riprendere il discorso dal punto in cui la tradizione l’aveva lasciato, e cioè dall’identità della persona umana. Questa è qualcosa di diverso da una identità puramente naturale, nel senso che va affermata, rivendicata, sviluppata dalla persona stessa, se si vuole che dalla potenza passi all’atto. Tale affermazione avviene nella vita sociale, in rapporto ad altre persone che affermano la propria identità nello stesso modo:

Continua