Francesco D’Agostino – CITTADINANZA

(estratto da Paradoxa 2/2012) Parafrasando una battuta (atto II, quadro I) del libretto del Flauto Magico, che tanta ammirazione destava in Goethe, potremmo rispondere a chi si chiedesse se Tamino sia o no un cittadino: noch mehr! Er ist ein Mensch! E cioè: ben di più! È un uomo! È evidente che dietro il testo di Schikaneder si rivela il fascino tutto illuministico per il cosmopolitismo, ma è anche evidente, a mio avviso, qualcosa di più: l’insofferenza per qualsiasi denominazione che restringa il respiro dell’humanum, che dia all’identità dell’uomo limiti che le recano violenza, che neghi, insomma, il vecchio detto eracliteo, per quanto tu cammini, i confini dell’anima non li puoi toccare. Resta, con tutto ciò, fermo che quello della cittadinanza è indubbiamente un limite, che crea intenzionalmente una differenza: chi non è cittadino, chi non è mio concittadino, non è propriamente come me. Come può essere giusta una categoria che introduce una differenza dotata di tale radicalità? Eppure dell’idea della cittadinanza, di una idea della cittadinanza, quale che poi possa essere la sua concreta determinazione, sembra che proprio non se ne possa fare a meno. La vediamo emergere nei contesti in cui meno ci aspetteremmo di trovarla. Nella lettera

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Carmelo Vigna – SULLA CONVENIENZA DELLA “RAGIONE PUBBLICA” PER UNA BIOETICA “DEMOCRATICA”

Una amichevole interlocuzione con Francesco D’Agostino Lo scorso 21 settembre venne pubblicato su “Europa” un manifesto con il titolo Una ragione pubblica per la bioetica. I firmatari (parte di area laica e parte di area cattolica) si rivolgevano al nascente Partito democratico, ma poi anche ad altre forze politiche. Volevano contribuire alla costruzione di un dialogo tra le due culture d’origine nelle delicate e complesse questioni legate alla vita umana. Ma non sembra che il Partito democratico si sia troppo incuriosito (non dico occupato) dell’iniziativa. La mente dei suoi esponenti era evidentemente versata in altro. E’ stato soprattutto il quotidiano “Avvenire” ad avvertire l’importanza della cosa e ha subito affidato a Francesco D’Agostino un giudizio di merito. Francesco D’Agostino ha prima allineato (27 settembre) una serie di riserve (“Che si tratti di buone intenzioni, non c’è dubbio; se a tali buone intenzioni possono seguire davvero fatti congruenti è però un’altra questione. Per quel che mi concerne sono piuttosto scettico”: così cominciava.). Io ebbi subito dopo a replicare – come uno dei firmatari – alle ragioni di questo “scetticismo”. La mia “lettera  aperta” a D’Agostino venne pubblicata su “Avvenire” l’11 di ottobre, preceduta (!) da una replica di D’Agostino, in cui

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Francesco D’Agostino – L’INTERLOCUZIONE CONTINUA…

Amici nella verità, nemici nell’opinione, soleva dire Lévinas. Penso che questa –che è più che una battuta- possa applicarsi ai miei amichevolissimi rapporti con Carmelo Vigna. Al quale mi lega, oltre che un affetto personale profondo (il che dovrebbe essere di ben poco interesse per chi mi legge) un’ammirazione teoretica sincera (che sento il dovere di proclamare pubblicamente). Sta di fatto, però, che inoltrandosi per gli impervi sentieri di quella che egli chiama una bioetica democratica Vigna mi sembra che corra il rischio di perdersi. Se questi sentieri siano o no simili agli heideggeriani Holzwege saranno altri a giudicarlo. A me preme soltanto –e già so che a questo punto Vigna comincerà a ritenere che i miei toni stiano tornando ad essere troppo “perentori”- aiutarlo a ritrovare la “retta via”, quella che si sostanzia sì in un sincero impegno per la bioetica, ma per una bioetica priva di aggettivi: né di destra, né di sinistra, né cattolica, né laica, né autoritaria né (soprattutto!) “democratica” (in quanto affidata ad un “Partito democratico”). Questa bioetica, senza aggettivi, è quella che ho sempre cercato di fare; una bioetica che non parte da “principi inflessibili” (credo di non aver mai fatto riferimento nelle mie

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Francesco D’Agostino – NON C’É GIUSTIZIA SENZA AMORE

1. A chi insiste nel mostrare la cecità della sorte, il Torquato Tasso di Goethe (2° atto, terza scena) obietta in due splendidi versi che anche la giustizia è bendata e chiude gli occhi davanti a ogni miraggio. Anche in questo, come in moltissimi altri casi, Goethe riassume magistralmente una tradizione radicata e antichissima. L’idea che la giustizia non veda,anzi che non debba vedere,è costante nella tradizione iconografica dell’Occidente [L’idea che la giustizia non veda è costante nella tradizione iconografica dell’Occidente] e trova le sue radici sia nella tradizione ebraico-cristiana che in quella greca. Quando negli Atti degli Apostoli (X, 34-35) Pietro confessa che Dio, nella sua somma giustizia, non fa preferenza di persone,l’espressione che poi la Vulgata ha reso con non est personarum acceptor Deus suona in greco prosopolemptés:termine in cui è evidente la presenza del termine prósopon,che significa volto:in altre e più rozze parole Dio è giusto, perché non guarda in faccia a nessuno. Ma come la giustizia, la compiuta e perfetta giustizia, è cieca,così deve anche essere sorda:non può e non deve prestare orecchio a preghiere e a suppliche. Il tema emerge con molta efficacia in Livio (Ab urbe condita, II.3), quando egli ci narra del dibattito

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Il tomista tra scienza e diritto

Il tomista tra scienza e diritto di Giancarlo Perna (Il Giornale 25.01.03) “Le do l’intervista, ma voglio controllarla. Temo i fraintendimenti giornalistici”, mi dice al telefono il filosofo del diritto, Francesco D’Agostino, presidente del Comitato nazionale di Bioetica. La sua voce è carica di sospetto, neanche fossi la più fasulla delle pecore Dolly. “Si fidi di un onest’uomo”, belo. “Non discuto la sua buona fede, ma….”. “…l’intelligenza. Si è imbattuto in molti giornalisti cretini?”, dico. “Vede? Già mi attribuisce cose non dette. Ho sempre notato un salto tra quel che volevo comunicare e ciò che il giornalista mi ha messo in bocca”. Senza farmi dire “a”, prosegue: “Il giornalismo è tagli, fretta, indifferenza ai temi di cui si parla. C’è chi, contento di essere intervistato, accetta tutto. Io, no”, dice ultimativo. “E’ più malfidato di san Tommaso. Devo familiarizzare e mostrargli che sono una Dolly con un notevole Q.I.”, penso. “Lei è tra i maggiori filosofi cattolici, prof”, dico. “Ho forti interessi di tipo teologico”, dice più blando. “Se, come spero, la intervisterò sul modo in cui applica le sue teorie alla vita quotidiana, devo sapere a quale corrente filosofica ritiene di appartenere”, dico professionale. “Sono un cultore di san

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