Laura Paoletti – IL MOMENTO DI OSARE

(editoriale di Paradoxa 4/2010) Qualche numero fa, nell’introdurre la riflessione sul rapporto tra capitale e cultura (Paradoxa 1/2009), ci chiedevamo se trattare di argomenti simili in tempi di crisi economica non avrebbe fatto lo stesso effetto dell’infelice battuta attribuita a Maria Antonietta: il popolo ha fame e, invece che al pane, si pensa alle brioches. Scegliemmo di correre il rischio. Non potevamo immaginare, allora, che la questione della commestibilità e dello scarso valore nutritivo della cultura sarebbe divenuta il Leitmotiv dell’acceso dibattito in corso sulla legittimità dei drastici tagli al comparto culturale: dibattito non propriamente esaltante, per la verità, che in certe sue approssimazioni (e talvolta cecità) nei confronti di quale sia davvero l’oggetto in discussione conferma l’opportunità della scelta di allora. L’intuizione che fosse produttivo lavorare su una definizione teorica più precisa di ciò che provvisoriamente chiamavamo “il capitale cultura” si è venuta nel frattempo irrobustendo in un progetto strutturato, del quale i contributi e gli studi presentati in questo numero rappresentano una prima tappa. Non presentiamo risultati definitivi, ma una direzione di ricerca e alcune ipotesi di lavoro che richiedono ora un confronto più ampio, non soltanto nel senso dell’allargamento delle competenze disciplinari (che pure è indispensabile), ma

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Laura Paoletti – DAI BENI CULTURALI AL CAPITALE IMMATERIALE

(editoriale di Paradoxa 1/2009) Esiste oggi in Italia una vera politica culturale? E se esiste chi se ne fa carico? In un momento come l’attuale, a fronte dell’agenda imposta dalla dilagante crisi economica con i suoi drammatici effetti, mettere a tema il destino delle fondazioni culturali e il loro possibile rapporto con le fondazioni bancarie – come Paradoxa fa – rischia di apparire surreale come il suggerimento di Maria Antonietta di saziare con le brioches il popolo affamato. E, tuttavia, la riflessione che Nova Spes ha inteso avviare con i partner coinvolti, non è un lusso a cui dedicare il tempo libero, il tempo che resta una volta che i problemi seri siano risolti. Partiamo da un dato, tanto universalmente denunciato, quanto ignorato nella sostanza: l’Italia soffre di una profonda crisi culturale che investe livelli e funzioni diversi nella società; una crisi di valori accomunanti, di contesti formativi, di capacità di innovazione e di progettualità politica. Una crisi, a conti fatti, tutt’altro che indolore: anche in termini economici. Ma non ci si aspetti di trovare qui un cahier de doléances. Nelle pagine che seguiranno la nota dominante, quella che amalgama le prospettive, anche molto eterogenee, che vengono qui alla parola

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Stefano Zamagni – FONDAZIONI CULTURALI E CAPITALE CIVILE

(estratto da Paradoxa 1/2009) È oggi ampiamente riconosciuto, anche se ancora non da tutti, che lo sviluppo economico moderno, e più in generale il progresso delle nostre società, più che il risultato dell’adozione di più efficaci incentivi odi più adeguati assetti istituzionali, consegue piuttosto dalla creazione di una nuova cultura. È accertato che l’idea per la quale incentivi e istituzioni efficienti generano risultati positivi a prescindere dalla matrice culturale è destituita di fondamento, dal momento che non sono gli incentivi di per sé, mail modo in cui i soggetti li percepiscono (e ad essi reagiscono) a fare la differenza. E i modi di reazione dipendono proprio dalla specificità della cultura, la quale è connotata dalle tradizioni, dalle norme sociali di comporta-mento, dalla religione intesa come insieme di credenze organizzate. È noto che valori e disposizioni quali la propensione al rischio, l’atteggiamento nei confronti del lavoro, la tendenza a fidarsi degli altri, l’idea di uguaglianza, la prevalenza del principio della colpa rispetto a quello della vergogna, ecc., sono fortemente connessi alle peculiarità culturali prevalenti in un determinato contesto spazio-temporale. L’economia di mercato di tipo capitalistico, al pari di altri modelli di ordine sociale, ha bisogno per la sua continua riproduzione di

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Paradoxa, ANNO III – Numero 2 – Aprile/Giugno 2009

Seven. Crisi capitale & peccati globali a cura di Luigi Cappugi Il fascicolo di «Paradoxa» curato da Luigi Cappugi legge la crisi attraverso una chiave inedita. Il filo narrativo viene rintracciato nell’apparato simbolico offerto dai sette peccati capitali. Ogni autore ci accompagna così in una discesa all’inferno del nostro tempo, una discesa che non nega anzi prelude a un’offerta di speranza. Superbia: nei contributi di Vitale e Cappugi, ci riporta alle deviazioni economiche dei nostri anni e alla gestione della superpotenza Usa, che nella sua attitudine a considerarsi nazione eletta traina il mondo verso un modello di crescita basato sul debito. Avarizia: per Zamagni e Motterlini è la radice peccaminosa di quel comportamento umano che, per natura tendente alla passione acquisitiva, ha finito per legittimare l’avidità sulla base dell’ethos dell’efficienza. Lussuria: nel suo dominio ricade per Vittorio Mathieu persino l’immissione di nuova liquidità, soluzione illusoria alla crisi. Ira: emozione negativa da cui originano per Carlo Jean il conflitto e la guerra, è al contempo positiva nella sua capacità di generare coesione ed eroismo. Gola: il fondatore di Slow Food Carlo Petrini considera peccato non la gola in sé, ma l’eccesso e lo spreco, la furia omogeneizzante della società dei consumi.

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Paradoxa, ANNO III – Numero 1 – Gennaio/Marzo 2009

Quando il capitale è la cultura a cura di Laura Paoletti Gli istituti e le fondazioni culturali possono svolgere una funzione insostituibile per il Paese: a patto che siano disposti a ripensarsi e a collaborare, al fine di intercettare le nuove esigenze della società. Quali sono le strategie per valorizzare al meglio il capitale culturale? Che cosa significa fare politica culturale? Cercando una riposta a questi interrogativi, il numero apre il filone di ricerca poi confluito nel fascicolo 4/2010 di «Paradoxa». Gli autori cercano di forzare lo schema che costringe a ragionare di cultura in termini di «beni culturali», di superare cioè l’idea che la assimila a un bene, a una cosa tra le cose. Di contro alla visione economicistica che per tanti anni ha affermato la proporzionalità diretta tra disponibilità di beni materiali e benessere, il capitale immateriale viene trattato come un fattore imprescindibile ma non scontato della vita sociale, economica e politica. Esso richiede condizioni e contesti favorevoli per proliferare. Proprio a questo scopo può risultare funzionale il dialogo messo a punto nel fascicolo. Rappresentanti di fondazioni culturali (anche dette operating) e fondazioni di origine bancaria (o grant-marking) si confrontano sul terreno comune dell’attività culturale, portando all’attenzione del

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