Vittorio Possenti – PERSONALISMO E FINE DELLA VITA

(Estratto da Paradoxa 4/2009) 1. Nelle accese discussioni che punteggiano il cammino della legge sulla “fine della vita”, è in gioco in primo luogo la persona, la sua dignità, l’idea che ne formiamo. Una buona legge non deve far tutti contenti – cosa auspicabile ma difficile – piuttosto deve possedere solide basi antropologiche e morali e capacità di largo abbracciamento, cercando punti di intesa sin dove possibile e senza andar contro basi riconosciute e diritti/doveri certi. Una buona legge ha dunque bisogno di un retroterra di “evidenze antropologiche”, e di mantenersi nel quadro dei diritti e doveri costituzionalmente stabiliti. Si tratta infatti di una legge dello Stato, che non deve violare la sfera della coscienza, ma cercare un saggio bilanciamento tra i criteri dell’autodeterminazione e della tutela della vita umana. Esso diviene impossibile se i due criteri sono intesi come assoluti: tra l’assolutezza dell’autodeterminazione e l’assolutezza dell’indisponibilità della propria vita non vi è possibilità di intesa. Per questi motivi appare necessario un nuovo sforzo di riflessione personalista. 2. Il personalismo è oggi sulla bocca di molti e numerosi sono i pensatori personalisti, in specie nell’area cattolica. Di ciò ci si deve rallegrare, anzi un inveterato personalista come me si sente

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Carmelo Vigna – SULLA CONVENIENZA DELLA “RAGIONE PUBBLICA” PER UNA BIOETICA “DEMOCRATICA”

Una amichevole interlocuzione con Francesco D’Agostino Lo scorso 21 settembre venne pubblicato su “Europa” un manifesto con il titolo Una ragione pubblica per la bioetica. I firmatari (parte di area laica e parte di area cattolica) si rivolgevano al nascente Partito democratico, ma poi anche ad altre forze politiche. Volevano contribuire alla costruzione di un dialogo tra le due culture d’origine nelle delicate e complesse questioni legate alla vita umana. Ma non sembra che il Partito democratico si sia troppo incuriosito (non dico occupato) dell’iniziativa. La mente dei suoi esponenti era evidentemente versata in altro. E’ stato soprattutto il quotidiano “Avvenire” ad avvertire l’importanza della cosa e ha subito affidato a Francesco D’Agostino un giudizio di merito. Francesco D’Agostino ha prima allineato (27 settembre) una serie di riserve (“Che si tratti di buone intenzioni, non c’è dubbio; se a tali buone intenzioni possono seguire davvero fatti congruenti è però un’altra questione. Per quel che mi concerne sono piuttosto scettico”: così cominciava.). Io ebbi subito dopo a replicare – come uno dei firmatari – alle ragioni di questo “scetticismo”. La mia “lettera  aperta” a D’Agostino venne pubblicata su “Avvenire” l’11 di ottobre, preceduta (!) da una replica di D’Agostino, in cui

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Francesco D’Agostino – L’INTERLOCUZIONE CONTINUA…

Amici nella verità, nemici nell’opinione, soleva dire Lévinas. Penso che questa –che è più che una battuta- possa applicarsi ai miei amichevolissimi rapporti con Carmelo Vigna. Al quale mi lega, oltre che un affetto personale profondo (il che dovrebbe essere di ben poco interesse per chi mi legge) un’ammirazione teoretica sincera (che sento il dovere di proclamare pubblicamente). Sta di fatto, però, che inoltrandosi per gli impervi sentieri di quella che egli chiama una bioetica democratica Vigna mi sembra che corra il rischio di perdersi. Se questi sentieri siano o no simili agli heideggeriani Holzwege saranno altri a giudicarlo. A me preme soltanto –e già so che a questo punto Vigna comincerà a ritenere che i miei toni stiano tornando ad essere troppo “perentori”- aiutarlo a ritrovare la “retta via”, quella che si sostanzia sì in un sincero impegno per la bioetica, ma per una bioetica priva di aggettivi: né di destra, né di sinistra, né cattolica, né laica, né autoritaria né (soprattutto!) “democratica” (in quanto affidata ad un “Partito democratico”). Questa bioetica, senza aggettivi, è quella che ho sempre cercato di fare; una bioetica che non parte da “principi inflessibili” (credo di non aver mai fatto riferimento nelle mie

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Tavola rotonda – Fra diritto e morale. Quale laicità per la bioetica?

Roma, 2007 Fondazione Internazionale Nova Spes, P.zza Adriana 15 Negli ultimi mesi sono apparsi ben tre «manifesti», che enunciano alcuni principi generali circa il modo in cui è lecito e/o doveroso dare una risposta sul piano politico a questioni che sorgono sul terreno della bioetica: Manifesto per una bioetica critica (pubblicato sul numero 7/2007 di «Liberal»), Una ragione pubblica per la bioetica (pubblicato su «Europa» il 21 settembre), Nuovo manifesto di bioetica laica (presentato in un convegno a Torino il 25 novembre). Documenti di questo genere – più o meno aperti al dialogo – rischiano comunque di marcare linee di frattura piuttosto che favorire la comprensione delle questioni in gioco, se non sono costantemente sostenuti dalla pratica impegnativa di un confronto aperto e non vincolato ad esigenze strumentali. Con questo intento, la Fondazione Nova Spes si propone di sollecitare una riflessione su alcune questioni preliminari: la distinzione tra diritto e morale può rivelarsi feconda per individuare spazi di dialogo tra «bioetiche» diverse? È davvero possibile un diritto moralmente neutrale? E la «laicità» è davvero una prospettiva di parte? Atti: Introduzione al dibattito: Francesco D’Agostino, Laura Palazzani, Roberto Mordacci e Antonio Da Re. Moderatore: Stefano Semplici Sono stati invitati ad intervenire:

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