Seminario – Paradoxa 2.0. Tra forum e social network
14 settembre 2016
14 settembre 2016
9 marzo 2016, Roma Sono intervenuti Nicola Antonetti, Rosy Bindi, Gianni Cuperlo, Mario Morcellini e Antonio Polito, moderati da Gianfranco Pasquino. A partire da Paradoxa 4/2015 “La scomparsa delle culture politiche in Italia”.
12 ottobre 2016, Roma Sono intervenuti Emidio Diodato, Ettore Greco, Raffaele de Lutio, Raffaele Marchetti. A partire da Paradoxa 2/2016 “La geopolitica che viene”.
Marzo 2016, Roma Il corso è organizzato in collaborazione con il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’ Università Sapienza di Roma Dal 2 al 30 marzo 2016 il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza in collaborazione con la Fondazione Nova Spes ha tenuto dei seminari, riconosciuti dall’ordine dei giornalisti del Lazio per l’acquisizione dei crediti formativi obbligatori, dal titolo
(editoriale di Paradoxa 4/2016) È frutto di un caso. Ma che il decimo compleanno di «Paradoxa» cada in un fascicolo dedicato al tema delle lobby è una circostanza fortunata, oltre che fortuita, perché mette in risalto, come meglio non si potrebbe, due tratti salienti della fisionomia della rivista. Il primo, nomen omen, è la paradossalità: in queste pagine viene, infatti, argomentata una tesi che concede molto poco all’opinione comune; una tesi che non solo non è populista, ma che non è nemmeno popolare. A fronte dell’idea diffusa per cui gli interessi corporativi di notai, farmacisti, magistrati, tassisti, sindacati, professori, e via categorizzando, rappresentano il nemico pubblico numero uno del pubblico interesse, gli autori convergono sostanzialmente nell’affermare che le lobby sono in linea di principio un elemento essenziale della vita democratica. Lasciamo al lettore il gusto di confrontarsi con le ragioni che consentono di sostenere una simile posizione: conta sottolineare, qui, che il tentativo sistematico di non cedere mai al punto di vista più ovvio è un filo importante della trama di questi dieci anni; un filo che parte dal primo numero sul carattere positivo del ‘conflitto’ e lega i tanti tentativi di decostruzione di termini utilizzati nel dibattito pubblico come
(estratto da Paradoxa 3/2016) Nell’estate in cui per parlare di religione e immigrazione si discute di burkini e della compatibilità dell’abbigliamento delle donne musulmane con le società europee, ci si dimentica che nella stessa Europa era possibile descrivere le contadine di fine Ottocento (ma in molte zone anche di pochi decenni fa) come donne «con il fazzoletto in testa» e abiti lunghi e neri. Lo scenario era quello di un ruolo femminile legato soprattutto alla fertilità e al lavoro nei campi, connubio che relegava le donne agli importanti compiti della riproduzione e del sostentamento dell’economia domestica. Spesso la memoria vacilla, come già scritto nel volume Cittadini senza cittadinanza, da cui questo testo prende alcuni spunti approfondendoli. Le polemiche si accendono e infervorano seguendo l’aggrovigliarsi di argomenti e messaggi retorici, che avvelenano però la realtà e minano processi di coesione sociale costruiti faticosamente. Infatti, sembrano lontane le discussioni sul rapporto fra religione e seconde generazioni che hanno attirato l’attenzione di studiosi sin dagli attentati alle metropolitane di Londra e Madrid, per giungere sino ai più recenti tragici avvenimenti in Francia e Belgio. Eppure gli elementi della questione sembrano gli stessi: giovani, immigrazione, integrazione, religione. Gli eventi della storia e gli elementi
LE RAGIONI GEOPOLITICHE DI UN TRATTATO COMMERCIALE TRA STATI UNITI ED EUROPA (estratto da Paradoxa 2/2016) 1. Per tutti gli esseri umani è chiaro che la Terra è un globo e come tale essa è sempre stata globalizzata. Nel tempo le conseguenze di tale condizione astronomica sono però mutate. Subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica l’esistenza delle due superpotenze venne sostituita dalla sopravvivenza di un solo paese virtualmente capace di dominare la vita globale. Per un certo periodo alcuni politologi, politici e vari uomini della grande finanza internazionale pensarono che il gigante americano potesse da solo dettare le regole della con-vivenza globale, secondo una propria visione, legata agli interessi americani. Non fu necessario molto tempo perché questa illusione tramontasse. Da principio si comprese che altri pericoli potevano derivare dalla volatilità del mercato finanziario. Poi fu sufficiente che un gruppo di terroristi, apparentemente folli ma sostanzialmente ben organizzati e meglio finanziati, riuscisse a colpire i luoghi simbolici, cioè il cuore della finanza americana a New York e il centro del sistema degli armamenti, il Pentagono, sede del dipartimento della Difesa, a Washington, per mostrare anche ai più riluttanti che la solitudine del potere americano era solo un’illusione e che questa solitudine
(estratto da Paradoxa 2/2016) Le ipotesi qui presentate riprendono alcuni contenuti del testo pubblicato dall’autore, La violenza. Saggio sulle Frontiere del politico (Manifestolibri 2015) Il compiersi a ritmi sempre crescenti di quella che nel 1970 Henri Lefebvre definiva Rivoluzione urbana fa oggi dell’urbanizzazione un tema rilevante per ogni dominio delle scienze umane, sociali e politiche. Gli studiosi parlano dell’avvento di una civiltà urbana, mentre nella comunità internazionale si fa uso del termine Urban age per designare il fatto che ben oltre metà del genere umano vive ormai in aree urbanizzate, e che questa porzione pare destinata a crescere esponenzialmente fino a raggiungere il 75% degli abitanti della Terra entro il 2050 (cfr. http://unhabitat.org). I geografi sono impegnati nello studio di processi che consentono di pensare come un unico spazio urbanizzato anche macroaree regionali per il livello di integrazione del loro sistema di infrastrutture, trasporti, organizzazione del lavoro, del commercio e dei servizi. Il generale accordo su una visione ‘urbano-centrica’ dell’attuale momento geostorico ha fatto perciò dell’urbanizzazione una sorta di archivio generale cui rubricare ogni discorso sullo sviluppo delle geografie umane, al punto che il mondo stesso viene rappresentato sovente attraverso metafore urbane, come un ‘metacittà’ avente il suo ‘centro’
(estratto da Paradoxa 1/2016) Anche con i fedeli dell’islam è possibile dialogare. […] Ci vogliono pazienza, fiducia, onestà intellettuale, rispetto della libertà dell’altro, capacità di ascolto. E lasciare che il tempo faccia crescere quanto di buono è stato seminato». Cardinal Dionigi Tettamanzi, La città rinnovata dal dialogo, 2008 Una premessa, strategica. Ciò che i terroristi nel nome di Allah vorrebbero scatenare, a qualsiasi fazione si richiamino, sembra una guerra ma in realtà è una fitna, uno scontro fratricida per l’egemonia all’interno della umma, della comunità islamica (come da tempo ha colto il sociologo francese Gilles Kepel, ad esempio). Se il loro obiettivo simbolico sono i cristiani in Siria e gli yazidi in ciò che è diventato l’Iraq, o una testata satirica o un locale alla moda francesi, quello reale è l’islam che dialoga e si confronta bon gré mal gré con l’alterità, concependo la possibilità, forse per la prima volta nella sua storia, di una (faticosa, certo) convivenza multireligiosa, e giungendo ad apprezzare quel sacrosanto principio di laicità che tutela le libertà di ogni uomo e di ogni donna, a prescindere dal fatto che creda e da come creda. E se la buona notizia è che in questi mesi
Maledetto lobbying! La società aperta e le sue lobby A cura di Marco Valbruzzi Il dibattito pubblico italiano non brilla certo per limpidezza e chiarezza. Molte categorie concettuali e altrettante espressioni politiche sono spesso utilizzate, anche dai cosiddetti operatori dell’informazione, in maniera assolutamente distratta e distorta. L’esempio migliore di questo infelice stato dell’arte ci è fornito, probabilmente, dalla parola «lobby»: in Italia più che altrove, questa parola è stata caricata di significati negativi che rimandano a fenomeni di tutt’altro genere, a partire dal semplice malaffare per finire con la corruzione più sfrenata. Ben consapevole che invertire la rotta sia un’impresa tutt’altro che semplice, il curatore Valbruzzi invita a provare a pensare al fenomeno lobbistico in modo più equilibrato. Siamo alla vigilia dell’attesa approvazione del Registro dei rappresentanti di interessi alla Camera dei Deputati, eppure, sottolineano curatore e più d’uno tra gli autori, parlare di ‘trasparenza’ e di ‘regolamentazione’ è una condizione sì necessaria, ma insufficiente. Occorre pensare concretamente il ruolo dei gruppi di interesse nella vita politica, le possibilità di mediazione e informazione civica, la spinta propulsiva nell’equilibrare e riequilibrare i vari gruppi in gioco, bene pubblico e interessi privati. Avvalendosi anche del contributo diretto dei principali esponenti di alcune