(Estratto da Paradoxa 2/2024)
I dieci saggi ospitati in questo numero della Rivista Paradoxa sono stati scelti per illustrare gli importanti sviluppi che si sono registrati in Africa nell’ultimo ventennio e che sono ancora poco conosciuti. L’opinione pubblica è ancora ferma sull’immagine di un’Africa desolata dal colonialismo europeo, piena di conflitti tribali e alla mercè degli aiuti insufficienti inviati dall’intero mondo, inclusi i paesi responsabili di avere ostacolato in passato lo sviluppo del continente. È purtroppo vero che i guasti del colonialismo europeo restano molto evidenti e che l’Africa è ancora oggi il continente più povero del mondo; ma le cose stanno cambiando ed è urgente prenderne atto, anche perché oggi l’Africa conta un miliardo e mezzo di abitanti e molti di più ne conterà in futuro. Non tutti i cambiamenti che si stanno verificando sono positivi, ma senza dubbio l’Africa si è avviata su una strada che potrà portarla a un miglioramento tangibile. I colleghi che abbiamo coinvolto in questo progetto fanno parte dei migliori ‘africanisti’ esistenti in Italia e hanno accolto il nostro invito con entusiasmo e passione, offrendo tutta la loro expertise in forma di saggi leggibili e densi, con riferimenti bibliografici che permettono al lettore ulteriori approfondimenti. Quattro sono i campi in cui i saggi si articolano: l’eredità storica, gli sviluppi politici, il ruolo delle due principali religioni – cristianesimo e islamismo – e gli sviluppi economici.
La storia, la politica, gli Stati e le religioni
A partire dalla grave crisi economico-finanziaria che ha scosso il mercato globale nello scorcio finale del primo decennio del XXI secolo, innescando innumerevoli contraccolpi a livello politico-istituzionale, è più che mai all’ordine del giorno l’interrogativo sul ruolo dello Stato nel presente-futuro del ‘sistema mondo’. Fra i tanti temi che sono stati portati alla ribalta a proposito della parabola dello Stato, nei suoi diversi momenti storici e aspetti politico-istituzionali-costituzionali ad ampio spettro, particolare rilievo hanno assunto, nel dibattito contemporaneo, le profonde trasformazioni che in Occidente e in differenti aree del mondo segnano la storia stessa degli Stati, nel panorama internazionale. Lo Stato fra gli Stati: così i curatori di una raccolta di saggi titolavano una sezione del loro volume, mettendo in evidenza come la straordinaria capacità di ristrutturare i propri contenuti mostrata dallo Stato nel corso dell’età moderna e contemporanea abbia a che fare con la ‘verità effettuale’ – per dirla alla Machiavelli – degli Stati stessi al plurale e delle sfide che essi hanno dovuto affrontare in un passato-presente multiforme; in momenti storici e aree geografiche differenti, che occorre indagare da vicino sia nella loro specificità che in relazione agli scenari, i quali, di volta in volta, caratterizzano la politica internazionale, al cui interno essi concretamente operano e di cui continuano a essere attori privilegiati. Per quanto riguarda le svariate declinazioni che la forma-Stato assume in Africa, un saggio di Annamaria Gentili pubblicato nel volume sopra richiamato risultava particolarmente illuminante perché poneva l’accento sul percorso storico che gli Stati hanno attraversato in Africa. L’autrice arrivava a delineare concetti/modelli di riferimento quali ‘Stato coloniale’, ‘Stato-nazione’, ‘Stato neo-patrimoniale’, ‘Stato minimale’, ‘Stato della governance’.
Si tratta di concetti che, nel loro insieme, danno già di per sé l’idea di come studiare lo Stato contemporaneo in Africa significhi affrontare la complessità delle forme di ibridazione della modernità sia nella fase coloniale, sia con le indipendenze, per arrivare ai giorni nostri. Sulla scorta del problema centrale del presente/futuro, su quale sia e/o dovrebbe essere il ruolo dello Stato nell’era della globalizzazione e della governance, si pone la questione della crisi dello Stato stesso e della sua (de)legittimazione interna e internazionale, sia politica sia economica, soprattutto laddove risaltino particolarmente elementi di debole coesione interna, di fragilità delle istituzioni, di vulnerabilità verso l’esterno. Questi elementi sono quelli che balzano alla ribalta nel contesto africano, relativamente ai sistemi politici che ne caratterizzano la storia e che vanno indagati in profondità, fin dalle loro radici, allo scopo di coglierne gli elementi di specificità. In tale contesto, per esempio, temi quali il ruolo dello ‘Stato sviluppista’, la creazione di sistemi a partito unico e un problema centrale quale quello dei processi di democratizzazione in atto a partire dai primi anni novanta e delle difficoltà che essi incontrano, vengono affrontati dagli studiosi più avvertiti secondo un’analisi che prende le distanze da un ‘presentismo’ fine a sé stesso e che indaga, oltre ai loro lineamenti generali, i modelli e i risultati estremamente diversificati cui, nel tempo e in aree geo-politiche differenti, essi hanno dato luogo.
Di contro alla frequente superficialità mediatica – a volte anche di certa letteratura accademica – può la centralità della storia ergersi quale antidoto ai numerosi stereotipi ora in voga sull’Africa, nonché quale vero e proprio strumento per cogliere le differenti sfide politiche ed economiche dei suoi attori – governi e popolazioni – insieme al loro ruolo attivo nel plasmare le dinamiche globali? La risposta suona come sicura affermazione e vera e propria sfida in positivo da parte dell’autore di un interessante e recentissimo volume, indirizzato a cogliere da vicino la dinamicità del continente africano e le sue trasformazioni sotto molteplici punti di vista, al fine di offrire un esame critico e una visione più articolata dei Paesi africani e della loro collocazione internazionale, delle società che li caratterizzano. Si tratta insomma di abbattere innanzitutto lo stereotipo di un’Africa sempre uguale a sé stessa, tetragona al cambiamento, mera vittima sacrificale degli interessi delle grandi potenze.
È così che una attenta indagine storica diviene allora linea guida fondamentale in grado di gettare un ponte fondamentale tra passato e presente, ai fini di una corretta comprensione di alcune importanti questioni della politica contemporanea ad ampio spettro. L’obiettivo è di capire come l’Africa, nel complicato itinerario dei problemi e delle crisi che ha attraversato e ancora sta attraversando, stia acquisendo consapevolezza delle proprie potenzialità e capacità di azioni positive per prospettare il proprio futuro, così come viene messo in risalto fin dal titolo del presente fascicolo, dedicato appunto all’Africa tra passato e futuro. A partire dalle diverse analisi qui proposte sul terreno del politico, il filo rosso appena evidenziato viene con grande chiarezza portato alla luce, sia che si tratti di delineare attentamente il percorso, le caratteristiche e le contraddizioni del colonialismo in Africa, sotto il profilo politico ed economico, gli aspetti coercitivi e violenti dei modelli che vi si affermano (Mario Zamponi), sia che vi vengano presi in esame i processi di democratizzazione, mettendone bene in evidenza caratteristiche di fondo, ostacoli, limiti, potenzialità e possibili prospettive future (Arrigo Pallotti). Forse si potrebbe avanzare l’ipotesi che il consolidamento della stessa democrazia possa/debba passare attraverso l’attuazione di modelli di sviluppo economico orientati a maggiore inclusività sotto diversi aspetti e facendo riferimento alle molteplici e specifiche esperienze maturate e ai problemi concretamente emersi nelle diverse aree geo-politiche del continente africano?
Questo è uno degli interrogativi che, insieme con altri altrettanto stimolanti, viene posto nel corso dei saggi che qui vengono presentati, attinenti le molteplici dimensioni della politica attuale. A partire da queste ultime si tratta di disegnare da vicino uno scenario globale all’interno del quale si sta man mano delineando l’immagine di un’Africa che ‘fa da sé’, puntando sulle proprie potenzialità e interessi e su nuovi attori, sempre meno disposta a farsi dettare l’agenda dall’esterno. Protagonista in prima persona anche di fronte alle nuove e più urgenti sfide del presente: dalla sfida politica e civile alla sfida economica, alla sfida culturale, alla sfida religiosa, alla sfida urbana, alla sfida dei giovani che rappresentano oltre il 60% della popolazione totale africana. Del resto, già nel corso dei secoli «nelle relazioni con gli altri continenti gli africani hanno sperimentato una resilienza a tutta prova», e si sono mostrati in grado di elaborare proprie peculiari strategie (cit. Mario Giro).
Per quanto attiene la sfida religiosa di cui sopra delle chiese storiche, delle religioni, in un complicato scenario di nuovi ‘pastori-profeti’ e di «aggressivi attori neocristiani e neoislamici dal robusto proselitismo» in un’Africa divenuta una sorta di Babele al pari di altri continenti (Mario Giro), i saggi di Barbara Bompani sull’influenza del cristianesimo nella vita pubblica africana e di Massimo Zaccaria su cosa significhi essere oggi musulmani in Africa, aprono entrambi spazi per una profonda riflessione, sulla scorta, ancora una volta, di una dimensione critica che fa i conti da vicino con la storia tra passato e presente e, come tale, è in grado di porre fondati interrogativi al futuro, anche – e in primo luogo – per quanto riguarda i risvolti politici delle diverse scelte religiose in campo. In una situazione in cui risulta pressoché impossibile separare la religione dalla politica e dai mutamenti sociali, in considerazione del forte tasso di crescita della religiosità nel continente africano, occorre chiedersi quali saranno i contraccolpi di questa religiosità sull’agenda politica dei diversi Paesi (Barbara Bompani). E per quanto riguarda l’Islam e i diversi percorsi maturati al suo interno, anche a seguito di un processo di adattamento alle condizioni locali, vale la pena indagare e porre l’interrogativo su quale ruolo ha giocato e sarà destinato a giocare in futuro nel continente africano nel suo complesso (Massimo Zaccaria).
In quale misura un’attenta indagine storica risulti importante in funzione di necessaria premessa, anche dal punto di vista di discipline accademiche come la scienza politica e le relazioni internazionali, trova significativa e convincente esemplificazione nel saggio di Sofia Scialoja e Francesco Strazzari sulle caratteristiche della ‘agency africana’ in relazione all’ordine internazionale e ai suoi successivi mutamenti, dalle origini del sistema internazionale moderno fino ad arrivare ai più recenti drammatici eventi che segnano in profondità la scena internazionale attuale.
I mutamenti del panorama economico
Sul piano economico sono ben note le principali cause della debolezza delle economie africane. In primo luogo, l’eccessiva insistenza sullo sfruttamento delle risorse naturali, imposta dai colonizzatori i quali, solo a ciò interessati, costringevano gli africani quasi privi di adeguati ausili tecnologici a un duro lavoro di estrazione. Le poche infrastrutture costruite in Africa erano quasi sempre legate all’estrazione e all’esportazione dei minerali, con scarsa attenzione al supporto delle attività economiche interne, volte a soddisfare i bisogni delle persone che vi dimoravano. In campo agricolo, venivano curate le monoculture da esportazione senza badare alla coltivazione della terra per l’alimentazione degli abitanti, molti dei quali restavano dunque al di sotto dei livelli di sussistenza. In secondo luogo, la grande frammentazione degli stati africani – con solo poche eccezioni – produceva mercati troppo piccoli e inefficienti e gli alti livelli di conflittualità impedivano – e in certe aree ancora impediscono oggi – quella stabilità necessaria all’accumulazione di infrastrutture e di capitale umano. La terza causa è inerente alla scarsa esperienza dei governi post-decolonizzazione, che stanno facendo molta fatica a organizzare progetti di sviluppo sostenibili. Dal saggio di Luca Puddu emerge chiaramente che in Africa il processo di industrializzazione non è ancora decollato; e dunque la popolazione che non lavora in agricoltura – settore che mantiene ancora il 50% del totale della forza lavoro – si rifugia in un terziario per lo più informale a bassissimo reddito – oltre il 40% della popolazione –, vivendo precariamente nelle enormi periferie delle città.
La quarta ragione ha a che vedere con il trend demografico, come viene spiegato ancora nel saggio di Luca Puddu. L’Africa è il continente dove la popolazione sta crescendo a ritmi più rapidi, per una combinazione tra tassi di natalità molto elevati e interventi per lo più esterni di assistenza sanitaria che allungano la vita della popolazione. È noto che, quando si innesca un percorso di sviluppo economico, i tassi di natalità tendono a diminuire, fino a diventare esageratamente bassi – come in Europa e in Cina –, ma in Africa non siamo ancora a questo punto di svolta. Quindi, anche tassi non trascurabili di crescita del PIL vengono ‘mangiati’ in termini di migliorato standard di vita della popolazione dalla imponente crescita demografica. Inoltre, molti dei saggi qui riportati rimarcano come l’elevato indebitamento, accumulato da numerosi paesi africani nel corso degli anni, è stato utilizzato in modo limitato per investimenti produttivi. Questa situazione minaccia ora la sostenibilità finanziaria di tali nazioni, come più volte evidenziato dal premio Nobel Joseph Stiglitz. Qualcosa si è fatto per ristrutturare tali debiti o condonarne una parte, ma è ancora insufficiente.
La mancanza di un mercato interno consistente che potrebbe permettere un balzo in avanti delle economie africane viene confermata nel saggio di Monica DiSisto e Vera Negri Zamagni, dove si mostra che le importazioni intra-africane sono solo al 13% del totale del commercio africano e le esportazioni al 30%, e ciò nonostante la formazione di otto aggregazioni economiche vòlte appunto a promuovere mercati interni più efficienti. Soltanto in alcuni dei paesi africani molto grandi – Egitto, Etiopia, Nigeria – sono stati avviati in questi ultimi anni alcuni grandi progetti infrastrutturali soprattutto legati all’acqua – dighe imponenti – e all’elettricità. Il passo in avanti rispetto a questa situazione è stato effettuato dopo una lunga preparazione dalla Unione Africana (UA, 1963) nel 2018, con la firma a Kigali dell’accordo di libero scambio panafricano (AfCFTA), ratificato ad oggi da 47 dei 55 paesi africani e ufficialmente in vigore dal 1° gennaio 2021. Si tratta di un accordo che ha permesso all’UA di entrare a far parte dei BRICS, come molti dei saggi di questo volume hanno ricordato, e che non solo ha un valore in sé – costruire un mercato unificato dell’intero continente – ma sta diventando la base d’appoggio per una serie di trattati aggiuntivi, un po’ come è successo all’Unione Doganale del 1957 tra i sei paesi europei fondatori del MEC e poi dell’Unione Europea. Come scrivono nel loro saggio Sofia Scialoja e Francesco Strazzari, la nuova ‘agentività’ africana è una presa di responsabilità per il proprio destino da parte degli stati africani che passa per questi accordi. Di queste novità si sono accorti più i paesi che hanno solo recentemente allacciato rapporti con l’Africa, la Cina in primis, che i paesi europei presenti sul continente da lunga data e ancora per lo più fermi ai vecchi accordi ormai superati. Questa diversificazione dei rapporti economici e politici internazionali dell’Africa sta ampliando i margini di manovra degli stati del continente, anche se l’Africa deve stare attenta dal passare da una dipendenza dall’Europa a una dipendenza dalla Cina o dagli stati del Medio Oriente – la presenza della Russia è per lo più solo militare.
Questo nuovo dinamismo dell’Africa si ripercuote anche sui flussi migratori, magistralmente analizzati nel saggio di Sebastiano Ceschi. Dopo aver ricordato le terribili migrazioni forzate dei secoli XVI-XIX, frutto del commercio triangolare europeo, l’autore si concentra sulle migrazioni volontarie che diventano più consistenti quando un’area incomincia a uscire dall’estrema povertà, e quindi passa ad analizzare le migrazioni dell’ultimo ventennio, sfatando molte delle opinioni prevalenti, dure a morire. Nel 2019, il 53% di tali migrazioni – che si aggiravano sui 40 milioni di persone – si concentrava sul medesimo territorio africano – anche perché favorite da accordi di libera circolazione della manodopera – e solo il 26% aveva come destinazione l’Europa. Più recentemente, le difficoltà economiche e talora anche le persecuzioni, generate da rovesci finanziari, conflitti, governi inadeguati, siccità e carestie hanno spinto masse di giovani africani a emigrare ad ogni costo, anche con mezzi illeciti e pericolosi, generando la crisi dei rifugiati, che ha colpito i paesi a nord del Mediterraneo, l’aspetto più noto e dibattuto sui nostri giornali del tema migratorio. Di sicuro la pressione demografica ne è una causa prossima, ma l’inadeguatezza dei rapporti tra Europa e Africa ne porta la responsabilità maggiore e questo chiama in causa la necessità di una politica estera dell’Unione Europea, la cui mancanza lascia spazio a iniziative nei confronti dell’Africa insufficienti e frettolosamente messe in piedi da parte di singoli stati, come ad esempio il recente ‘Piano Mattei’ del governo italiano o il ‘Nuovo Corso’ di Macron.
In questa raccolta di saggi, non poteva mancarne uno sulla cooperazione allo sviluppo, che tanto ha contato, anche se non sempre positivamente, per sopperire alle gravi carenze vissute dalla popolazione africana. Dal saggio di Marco Zupi, corredato da ottime statistiche sugli Aiuti pubblici allo sviluppo (APS) a partire dal 1960, si apprende che in oltre sessant’anni sul totale degli APS almeno 1/3 sono in media affluiti all’Africa, con un picco vicino al 50% sul finire degli anni 1980, con particolare concentrazione nell’Africa sub-sahariana. L’autore chiarisce che il valore assoluto di questi aiuti, a cui occorrerebbe aggiungere una qualche stima degli aiuti privati, è abbastanza consistente – nel 2022, 69 miliardi di dollari di APS – soprattutto se si confrontano con gli investimenti esteri pari a 45 mld., ma le rimesse arrivavano a 100 mld. Sulla qualità di questi aiuti non esistono ancora lavori approfonditi, anche se molti di questi lasciano a desiderare, in quanto ancora troppo ‘assistenzialistici’, poco vòlti a promuovere l’empowerment della popolazione locale e coordinati a livello dei singoli stati. Anche su questo piano è urgente un ripensamento.
Conclusioni
Nel consultare il testo, il lettore apprezzerà senz’altro quanto discipline accademiche quali la scienza politica, le relazioni internazionali e l’economia siano utili per innervare l’attenta analisi storica condotta in questo numero della rivista mediante un approccio pluridisciplinare. Gli autori dei saggi hanno affrontato il non facile compito di sintetizzare una vasta letteratura accademica, con un taglio capace di smantellare luoghi comuni e facili stereotipi, nonché di elaborare un’ipotesi su quale futuro attenda un continente che, martoriato nel passato da un destino che l’aveva relegato ai margini, sta oggi faticosamente cercando una propria collocazione all’interno del consesso globale delle nazioni. Fra le molte trasformazioni oggi necessarie nella mentalità corrente di un paese come l’Italia va anche annoverata la necessità di confrontarsi in un modo nuovo con le migrazioni africane, con la cooperazione allo sviluppo, con i governi africani, con gli investimenti in Africa, con i conflitti che coinvolgono i paesi africani, con la nuova agentività dell’Unione Africana. Ci auguriamo che questo numero offra motivi per comprendere e abbracciare questa trasformazione.