I nuovi equilibri geopolitici
a cura di Emidio Diodato
Lo specifico del «paradigma geopolitico» consiste nel complicare l’idea che lo spazio sia il semplice scenario, politicamente indifferente, di forze e conflitti che si dispiegano secondo leggi del tutto autonome e che si riflettono poi in una certa configurazione di confini e suddivisioni territoriali, che lo spazio si limita a subire. Non che la geografia non sia anche il risultato della politica: è la politica che dà senso allo spazio e non viceversa.
Ma lo spazio non è solo un ricettacolo passivo, come emerge già solo dal fatto che ‘senso’ è un concetto in sé strutturalmente spaziale, per cui avere un senso significa essere orientato in una certa direzione. Il punto della geopolitica è che lo spazio geografico nudo e crudo, quello brutalmente materiale, scabro, mai del tutto riassumibile nella levigatezza delle forme geometriche con cui si prova a rappresentarlo, ‘curva’ qualsiasi azione abbia luogo (appunto) sul piano della politica internazionale, perché contribuisce in modo determinante a suggerirla, legittimarla, agevolarla o ostacolarla. Chi voglia parlare o scrivere di crisi dell’Occidente (e sono in molti) ha l’obbligo di definire con ragionevole precisione che cosa significa ‘crisi’ e che cosa è l’Occidente.
Questo esercizio di rigore cambia la prospettiva: la retorica del declino ha fatto il suo tempo ed è venuto il momento di pensare, articolare, rivendicare i motivi d’orgoglio (e sono molti) di appartenere a questo crocevia di geografia e storia, cultura, politica democratica, valore della persona.
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