Paradoxa, ANNO VIII – Numero 3 – Luglio/Settembre 2014

Consumismo culturale. La sinistra ci ripensa?
A cura di Dino Cofrancesco

Il tema del consumismo culturale parrebbe essere stato da sempre politicamente orientato in modo nitido e facilmente riconoscibile: se la ‘destra’ promuove la cultura d’intrattenimento, lo svago disimpegnato, la ‘sinistra’ ne prende le distanze in modo critico. Sennonché negli ultimi tempi l’industria culturale sembrerebbe aver iniziato a permeare anche gli ambienti di sinistra, a farsene veicolo comunicativo: dal Pasolini critico del disimpegno intellettuale propugnato dal capitalismo si passa allora al Festival di Sanremo di Fazio e Littizzetto, emblema di come la cultura d’evasione sia divenuta veicolo di trasmissione di ideali politici. E dunque, ‘la sinistra ci ripensa?’. Ecco la domanda di fondo che muove questo numero di Paradoxa e che coinvolge da varie prospettive gli autori chiamati in causa: dalle riflessioni di Paolo Bonetti, che sottolinea l’atteggiamento progressivamente compromissorio della sinistra nei confronti della ‘cultura bassa’, e Mario Aldo Toscano, che affronta la questione partendo da una conversazione dotta tra docenti e dottorandi; alle considerazioni di Sergio Belardinelli e Marcello Veneziani, che indugiano sul tema della cultura di massa declinandolo specificamente in rapporto a quella cattolica, l’uno sottolineandone le peculiarità rispetto all’atteggiamento critico della Scuola di Francoforte e l’altro prendendo a paradigma esemplificativo il contributo fornito dalle riflessioni del filosofo Augusto Del Noce. Ancora alla Scuola di Francoforte è dedicato il contributo di Giuseppe Bedeschi, che si interroga sulla nozione stessa di ‘industria culturale’. Quel che occorre allora chiedersi, seguendo le riflessioni del curatore Dino Cofrancesco, è se una critica al consumismo possa avere ancora una sua spendibilità politica, a destra o a sinistra che sia, o se, con esito forse paradossale, i prodotti di largo consumo, piuttosto che rappresentare un ‘male’ culturale, non possano (e debbano) essere letti, viceversa, come un ‘bene minore’.

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