Il senso perduto della pena
a cura di Francesco d’Agostino
Il fascicolo 3/2009 di «Paradoxa», a cura di Francesco D’Agostino, riflette sul senso della pena nella società contemporanea a trent’anni dall’uscita di Perché punire di Vittorio Mathieu (20072), che ne firma l’editoriale. Nel contributo del curatore, il volume del filosofo torinese viene valorizzato per la sua capacità di formulare il quadro giuridico in una cornice metafisica, riportando il senso della pena alle origini dimenticate dalla scienza penale moderna. Senza trascurare il confronto con altre culture, come quella orientale analizzata nel contributo di Monateri, «Paradoxa» traccia così un percorso che dalla visione genuinamente metafisica della grecità conduce – con Saraceni – fino ai più problematici esiti applicativi odierni: ci s’interroga persino sulla possibilità di punire il cyborg e sulla definizione della colpa in riferimento alla confusione tra macchina e persona. Si profila un’evoluzione precisa che si muove tra due estremi. Da un lato, la concezione redistributiva tipica della cultura greca, che interpreta la pena come processo di distribuzione e punizione della colpevolezza. Dall’altro, la visione riabilitativa esemplificata nel diritto penale canonico, che legge la pena come restaurazione di un legame interrotto. Tra le due sembra collocarsi la riabilitazione che si svolge mediante redistribuzione di Tommaso D’Aquino. Non solo reintegrazione o recupero, ma anche e soprattutto sanzione della libertà e della responsabilità personale emergono quali elementi irrinunciabili in questo fascicolo, in cui si tenta di recuperare il nocciolo duro e inaggirabile del diritto – metafisico, appunto – di contro a paradigmi deresponsabilizzanti quali quelli basati sulle neuroscienze.
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