La politica ha bisogno della religione?
a cura di Stefano Semplici
Il secondo numero di «Paradoxa» 2008 è curato da Stefano Semplici e si mette sulla scia del precedente, proseguendo la riflessione sulle declinazioni del politico. Il binomio centrale questa volta tiene insieme politica e religione. Un terzo termine, «bisogno», campeggia nel titolo, che rovescia in un interrogativo l’affermazione contenuta nel libro pubblicato nel 2006 da Brendan Sweetman. «Paradoxa», conformemente alla sua missione, cerca di sgombrare il campo dai pregiudizi, in primis quello che condanna il cattolico che fa cultura. Costui si troverebbe preso in un doppio vincolo: essere «prevedibile», o non essere cattolico. L’immagine del credente come di qualcuno che già sa cosa deve pensare su ogni problema è però irrealistica, proprio come la contrapposizione tra laici e credenti nel modo di affrontare la vita associata. Il terreno così dissodato viene percorso dagli autori, che fissano i termini della questione: i modelli teorici dominanti in filosofia politica segnalano oggi una apertura alla religione che mette in crisi il paradigma della secolarizzazione. Ne scaturiscono diverse domande, sul fronte pratico. Qual è il ruolo del voto dei cattolici? Quale funzione essi possono svolgere nel contrastare il nichilismo soggettivistico nell’attuale fase storica dell’Occidente? E ancora, può la sola politica provvedere al bene pubblico, al bene della persona e al bene comune? Non sono proprio le radici cristiane dell’Europa la matrice di valori quali ragione critica, pluralismo, tolleranza? Ma se nemmeno l’idea della religione come sentinella del limite della politica sembra reggere all’accusa di dogmatismo, soltanto la logica della testimonianza può indicare una via per pensare la politica sub specie religionis.
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