Tavola Rotonda – Determinismo e complessità nel pensare l’uomo

Roma, 18 dicembre 2000

Determinismo e complessità sono nozioni che attraversano le diverse branche del sapere scientifico offrendosi come chiavi di comprensione di molteplici fenomeni e problemi. Questa trasversalità, con le questioni implicate nei differenti ambiti, è ampiamente illustrata dal volume Determinismo e complessità, recentemente edito dalla casa editrice Armando nella collana “Le proposte di Nova Spes”. L’iniziativa ha inteso legare questi temi alla concezione che Nova Spes ha dell’uomo, sviluppando quegli spunti del volume che problematizzano la pluralità di livelli dall’inorganico al vivente all’umano.


Atti:

Resoconto
Nell’autunno di quest’anno presso la collana “Le proposte di Nova Spes” della casa editrice Armando è stato pubblicato il volume Determinismo e complessità, atti del convegno tenuto a Roma il 19 e 20 giugno 1998. Quel convegno era servito a far confrontare diverse branche del sapere scientifico sulle nozioni di determinismo e complessità. Più o meno esplicitamente in diverse relazioni, e nella stessa successione delle sessioni di quel convegno, era emerso il problema del salto da un livello all’altro nel mondo naturale, soprattutto nel passaggio dalla chimica inorganica alla chimica organica, dagli organismi semplici a quelli complessi e all’uomo, dall’umanità primitiva all’umanità culturalmente evoluta dell'”homo sapiens” e delle diverse civiltà fiorite sulla terra. La pubblicazione del volume è apparsa un’occasione preziosa per fare il punto sulle nozioni cardine di determinismo e complessità a due anni di distanza, un tempo per certi versi breve, ma, sul piano delle acquisizioni scientifiche e mediche, un tempo denso di scoperte e di applicazioni, tali da motivare una riflessione più ampia sul come pensare l’uomo appunto alla luce di queste accelerazioni del sapere scientifico. Di qui il titolo della tavola rotonda, ed anche la proposta del tema dell'”uomo-macchina” come questione più ampia entro cui inquadrare gli interventi dei relatori chiamati a discutere del libro e delle tematiche che a partire da esso si possono sviluppare relativamente all’uomo. Gli interventi di introduzione al dibattito sono stati affidati a Fortunato Tito Arecchi (Fisica), curatore del volume, Vittorio Mathieu (Filosofia), Gianni Brenci (Genetica), Giuseppe Del Re (Chimica). Nel suo intervento Fortunato T. ARECCHI ha rilevato l’estrema attualità della questione “uomo-macchina”, anche se con l’intento di rigettare qualsiasi prospettiva riduzionistica, sia per ciò che riguarda il rapporto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, sia riguardo al rapporto tra biologia, chimica e fisica. In un primo momento Arecchi ha argomentato, attraverso una dettagliata analisi delle funzioni richieste da un atto apparentemente semplice come quello di percezione, la tesi dell’irriducibilità della coscienza alle correlazioni neuronali, le quali sono condizioni necessarie ma non sufficienti di questa. Sulla base dei risultati degli studi sui processi di sincronizzazione neuronali, Arecchi ha mostrato l’inadeguatezza del modello secondo cui ciascun neurone sarebbe interpretabile come locazione di memoria capace di contenere una singola informazione; modello che è invece adeguato alla descrizione dell’intelligenza artificiale. A partire da questo esempio concreto, Arecchi ha poi proposto un’analisi generale dei limiti dell’edificio concettuale su cui è stato costruito l’intero impianto scientifico, fondato sull’assunzione dogmatica di due presupposti che sono, a ben guardare, “miti”: il finitismo, ossia l’idea che sia possibile comprendere il reale come insieme delle combinazioni possibili di un numero finito di elementi di base, e la riducibilità tra i livelli, cioè la convinzione che esista un livello originario di realtà che fonda senza discontinuità tutti gli altri. All’interno del programma scientifico fondato su questi due presupposti, la complessità non può essere intesa altrimenti che come costo di tempo o di calcolo necessario per la risoluzione di un problema. Poiché però sono gli stessi fenomeni scientifici, ad esempio quelli della meccanica quantistica, che hanno imposto una riconsiderazione del programma finitistico, è necessario, secondo Arecchi, assumere un concetto più radicale di complessità come strutturale irriducibilità di livelli: quest’ultima presuppone la necessità di interazione e di dialogo tra punti di vista qualitativamente diversi; interazione e dialogo di cui, ha concluso Arecchi, ben difficilmente l’intelligenza artificiale, costruita in virtù del presupposto finitistico, sarà mai capace. Vittorio MATHIEU nella sua introduzione ha trattato dal punto di vista ontologico la questione della distinzione tra diversi livelli di realtà, i quali non devono essere intesi come insiemi di cose diverse, ma come modi di essere della stessa cosa. Il rapporto che indubbiamente sussiste tra neuroni e coscienza, ha sostenuto Mathieu, non è interpretabile come relazione – per esempio di causa – tra due cose, ma come relazione tra modi di essere irriducibili l’uno all’altro, così come l’insieme discreto delle vibrazioni di una corda è irriducibile alla percezione sonora continua che ne ha la coscienza. La necessità di articolare la realtà in livelli diversi è manifestata dall’impossibilità di far coesistere due cose ad un certo livello. Questa impossibilità, secondo Mathieu, non è di natura empirica, ma ha la sua origine nel carattere strutturalmente finito della scienza, la quale, come ogni operazione umana, è legata a vincoli di varia natura: la materia, il tempo, o, più in generale, quell’impossibilità trascendentale che inerisce anche alla matematica (i cui oggetti non sono soggetti né a materia, né a tempo), la quale è però sottoposta alle limitazioni enunciate dal teorema di Gödel. Ciò non significa, ha sottolineato Mathieu, che la scienza non debba essere metodologicamente riduzionista, ma che non deve dimenticare che la realtà su cui opera è frutto di una riduzione: solo grazie a questa consapevolezza è possibile quell’accesso all’uomo globale, inteso nella totalità dei livelli ontologici che lo costituiscono, che è poi quanto persegue Nova Spes. Per illustrare la propria posizione sul problema della differenziazione di livelli, Gianni BRENCI ha ripercorso rapidamente le tappe dell’evoluzione dell’universo fino all’emergere della vita intesa come quel piano di realtà che ha memoria di se stesso, che è capace cioè di riprodursi. Brenci ha ricordato come il salto violento dalla chimica inorganica alla vita sia uno dei problemi più scottanti della biologia e ha suggerito di vedere nell’inorganico una sorta di memoria non esatta, ma statistica dei risultati successivi. Dopo aver illustrato le prima tappe dell’evoluzione del rapporto tra vita e ambiente, la relazione si è concentrata su quelle che possono essere assunte come caratteristiche peculiari della vita umana e che, secondo Brenci, sono sostanzialmente tre: 1) rispetto alle molteplici forme di organizzazione presenti in natura l’uomo si differenzia per la capacità di modificare il proprio coefficiente di selezione, cioè per esser riuscito a rendere l’ambiente funzionale alle sue caratteristiche in modo da modificare le proprie possibilità di sopravvivenza come specie; 2) mediante la complessizzazione del linguaggio l’uomo è capace di porre un altro come altro io e di confrontarsi con questo su ciò che è propriamente umano, staccando la sfera esistenziale da quella reale; 3) l’uomo è dotato di capacitas eligendi. Come dimostra la teoria delle decisioni, una scelta razionale presuppone non soltanto dati e algoritmi, ma anche e soprattutto valori da raggiungere, la cui struttura gerarchica non è frutto di conoscenza, ma è posta dall’uomo stesso. A partire da queste considerazioni, Brenci ha sottolineato come il discorso sui livelli implichi il rischio di cogliere questi ultimi in modo statico e non dinamico, come una successione di fotografie e non come sequenza cinematografica: non esiste un livello fisico e un livello vita, ma una successione cronologica che ha condotto alla vita umana. I livelli, secondo Brenci, non sono altro che una continuità di modifiche, il che comporta che non sia possibile, esclusivamente a partire dai livelli precedenti, dare una risposta alla domanda su chi sia l’uomo. Giuseppe DEL RE ha inteso svolgere un intervento di taglio marcatamente filosofico e ontologico. Il suo intervento ha preso le mosse dal tema dei livelli toccati anche da Mathieu, facendo riferimento a Nicolescu, ma anche a Nicolai Hartmann e alla Meteorologia di Aristotele. Anche il rapporto delle parti e del tutto nella filosofia antica già configura il tema della complessità, ma, nelle discussioni dell’antichità così come nel dibattito contemporaneo, il “che-cosa” rimane fuori dalla spiegazione dei processi della mente, rimane fuori l’autocoscienza, rimane fuori, più in generale, il comportamento di un tutto al di sopra dei singoli processi che lo compongono. Relativamente all’uomo, il tutto come oggetto dello studio della complessità finisce con il portare all’anima e al problema dell’immortalità dell’anima. Ha aperto il dibattito SANGUINETI con una domanda ad Arecchi circa il significato della possibilità attualmente sussistente di macchine che lavorano in certo modo in “dialogo”, così che si ripropone il problema di capire la differenza di questo dialogo rispetto a quello umano. Sanguineti ha proposto inoltre, sulla base dell’intervento di Del Re, una riflessione sull’importanza del punto vista aristotelico (e non cartesiano) circa il dominio dell’anima sul corpo, quest’ultimo inteso come luogo di una complessità causa di contingenza e mancanza, ma anche di ricchezza. Rispondendo alla domanda di Sanguineti, ARECCHI ha riconosciuto la possibilità di “dialogo” tra macchine, così come la possibilità che una macchina “impari” adattivamente a scegliere una strategia per la quale verrà premiata, ma ha sottolineato che questo può avvenire solo all’interno di una struttura completamente predeterminata, di livelli di discorso prefissati: l’uomo, che gode della libertà di operare scelte sbagliate, può creativamente collegare livelli di realtà altrimenti correlati o introdurne di nuovi. È intervenuto quindi DEL RE che ha sottolineato la necessità di rendere giustizia alla posizione di Cartesio, il quale sviluppa la propria posizione circa il rapporto corpo/anima a partire da un concetto di macchina che non può prevedere per quest’ultima la possibilità di feedback, ovvero della capacità di reagire a perturbazioni esterne. RIGOBELLO ha quindi ricordato l’interesse di Cartesio per le Passioni dell’anima e l’originalità della posizione cristiana sul rapporto corpo-anima ben espressa da Tommaso, il quale ritiene imperfetta l’anima che sopravvive al corpo finché quest’ultimo non risorga. SANCHINI ha tratteggiato un quadro generale dell’attuale situazione storica rispetto al problema del rapporto uomo-macchina, che mostra l’impossibilità di ogni conciliazione fra le posizioni, ad esempio, del credente e quelle dello scienziato fisicalista che mira ad annientare il primo. Ha preso la parola ARECCHI, che ha sottolineato la necessità di riconoscere, per evitare ricadute nell’intimismo, che in un universo finitistico la macchina è più efficiente dell’uomo, problema vecchio quanto il test di Turing, o addirittura quanto le riflessioni di Lullo: il punto è che lo spazio semantico umano non può essere disgiunto in set completamente isolati, perché ha una struttura quantistica e non finitistica. DEL RE ha ribadito che bisogna individuare chiaramente l’avversario oltre che il problema: la definizione dell’idea di uomo, alla quale nessuno scienziato può rispondere. OLIVETTI-BERARDINELLI è intervenuta ricordando come a monte del fatto che la psicologia sia stata l’ultima delle scienze ad adottare una visione sistemica vi sia un problema irrisolto: quello delle frontiere del sistema psicologico, che è peculiare in quanto capace non soltanto di feedback ma anche di azione intenzionale secondo fini, così da essere in grado di recuperare in modo autonomo il proprio equilibrio. L’intervento di LEPRI ha sottolineato, a partire dalla carenza dell’idea di uomo sottesa dalla riforma della scuola in atto, la necessità che un dialogo altrettanto fecondo di quello tra filosofi e scienziati, si sviluppi anche fra filosofi, scienziati e pedagogisti. Alll’intervento si è agganciato MATHIEU rilevando la concordanza tra l’impianto modulare e la concezione finitistica criticata da ARECCHI. Quest’ultimo ha quindi sottolineato l’insufficienza di una definizione dell’intelligenza come capacità di risolvere problemi. BRENCI è intervenuto sulla vaghezza, dal punto di vista biologico, sia del concetto di “adattivo”, che non necessariamente è ciò che risolve un problema, sia del concetto di memoria dal punto di vista neuronale. PUPPI ha posto il problema della possibilità di studiare in modo esauriente mediante conoscenza di tipo “contemplativo” gli organismi viventi, che sono complessi perché plastici e in grado di adattarsi all’ambiente. Nel suo intervento CARLONI ha sollevato, dal punto di vista della filosofia del diritto, la questione dell’adeguatezza del concetto di “forma” anche a proposito di entità collettive; ha quindi chiesto se i vincoli trascendentali, dei quali ha trattato Mathieu, siano da intendersi in senso ontologico; domanda alla quale MATHIEU ha risposto che il concetto di vincolo trascendentale è piuttosto da intendersi in senso kantiano. FERRO ha concluso il dibattito problematizzando il concetto di complessità, ricordando la necessità di insistere sull’aspetto conoscitivo di questa piuttosto che su quello ontologico. Ha inoltre evidenziato i limiti insiti nella divulgazione scientifica che rischia di veicolare equivoci, come quello per cui una macchina potrebbe “pensare”.

Partecipanti: F. T. Arecchi, G. Brenci, G. Del Re, V. Mathieu, A. Rigobello, Interventi: R. Ferro, L. Lepri, M. Olivetti Belardinelli, L. Paoletti, G. Puppi, J. J. Sanguineti, P. Valenza.

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