Dopo aver letto il saluto del Presidente del Senato Marcello Pera , impossibilitato a prendere parte all’incontro, Vittorio MATHIEU ha aperto i lavori con alcune considerazioni sulla crisi dell’istituto referendario, ormai unanimemente riconosciuta e rimarcata dall’esito dell’ultima consultazione. Secondo Mathieu, la radice di tale crisi va cercata nella difficoltà da parte dei votanti di comprendere sia la materia su cui si è chiamati a giudicare, sia il rapporto che gli articoli da abrogare hanno con il complesso della legge, sia la rilevanza dell’intera legge nel quadro dell’ordinamento giuridico complessivo: se questo è vero, è chiaro che espedienti come quello dell’eliminazione del quorum sarebbero non soltanto inefficaci, ma, peggio, dannosi perché acuirebbero il problema, affidando ad una minoranza, non necessariamente informata in modo adeguato, decisioni di estrema complessità e gravità.
Francesco D’AGOSTINO ha innanzitutto osservato, ragionando sul titolo dell’iniziativa, come il dialogo rappresenti un’opzione sempre auspicabile: il che non toglie che sia poi necessario interrogarsi di volta in volta, nella concretezza di una situazione determinata, sulla presenza o meno delle condizioni che rendono possibile un reale confronto tra opinioni diverse. A questo proposito D’Agostino ha sostenuto la tesi secondo cui la reazione del fronte referendario agli esiti della consultazione attesta l’impossibilità di fatto di intraprendere tentativi di mediazione. Come paradigma delle posizioni dei promotori del referendum, D’Agostino ha esaminato un’intervista rilasciata da Umberto Veronesi, nella quale questi si impegna in alcune affermazioni estremamente radicali che implicitamente delegittimano e squalificano ogni posizione contraria. Presentarsi, come fa l’oncologo, quale «voce del pensiero laico e razionale», per esempio, significa non soltanto annoverare gli avversari tra i fautori dell’«oscurantismo scientifico» e di un pensiero incapace di argomentare sulla base della ragione, ma anche ridurre il pensiero cosiddetto «laico» ad un fronte compatto, che non tollera pluralità e divergenze al proprio interno: rispetto alla comprensione che si ha dell’embrione. D’Agostino ha rivendicato la coerenza tutta laica e razionale della propria posizione, che non è in alcun modo riducibile ad una «concezione religiosa». Ritenere che sui temi in questione nei quesiti referendari esista un univoco «grande messaggio della scienza» significa inevitabilmente liquidare come opinioni non scientifiche le tesi di coloro che, pur essendo scienziati, non concordano con quelle di Veronesi. Infine D’Agostino ha criticato la posizione dell’oncologo per cui il progetto procreativo sarebbe «tutto femminile», osservando come la giusta e necessaria consapevolezza storica delle ingiustizie e delle violenze commesse nei confronti del sesso femminile non giustifichi unilateralismi di segno opposto. Proprio sulla logica della genitorialità sarebbe opportuno, secondo D’Agostino, attivare un dibattito che non può però tradursi immediatamente in disposizioni normative.
La ripresa di un dialogo, che sulla base del panorama tratteggiato appare ardua, è possibile allora solamente a tre condizioni:
1) Si può dialogare soltanto all’interno di un orizzonte laico e razionale. Più che ricorrere alla distinzione tra filosofia e teologia o far intervenire stereotipi di tipo anticlericale, è necessario riconoscere che non vi è una sola razionalità, né una sola modalità di pensiero laico e razionale.
2) Gli scienziati devono riconoscere la piena legittimità di un controllo bioetico sulla ricerca: questa affermazione non introduce una tesi innovativa, perché da trent’anni a questa parte qualsiasi protocollo di ricerca è soggetto ad approvazione da parte di un comitato etico; il quale generalmente si ispira al principio per cui sono da privilegiare direzioni di ricerca che non presentano problemi sotto il profilo etico.
3) Se davvero si vuole migliorare la legge 40 è necessario abbandonare il presupposto per cui gli interventi possibili sono esclusivamente quelli indicati dai quesiti referendari. Lo spazio di manovra è infatti molto ampio. Basti pensare al difficile problema del destino degli embrioni soprannumerari, che potrebbe essere risolto introducendo e incoraggiando la possibilità della cosiddetta «adozione pre-natale».
A commento dell’intervento di D’Agostino, Vittorio MATHIEU ha innanzitutto sostenuto che in realtà il referendum, essendo fallito il quorum, non ha dato alcuna indicazione. In secondo luogo ha osservato come il controllo esercitato dalla bioetica, a suo avviso, non debba investire il sapere in quanto tale, ma la ricerca, ossia l’attività in virtù della quale il sapere viene conseguito. In terzo luogo, Mathieu ha svolto alcune considerazioni dubitative a proposito della tesi di una piena simmetria tra uomo e donna nella procreazione.
Anche Pietro RESCIGNO ha dato avvio alle proprie considerazioni prendendo atto della crisi dell’istituto referendario, attestata dal mancato raggiungimento del quorum in tutte le consultazioni degli ultimi anni. Tale crisi deve essere affrontata in modo molto serio, perché il referendum costituisce uno dei pochissimi strumenti di partecipazione diretta all’esercizio della democrazia in sistemi che, come il nostro, sono invece basati sulla delega. Il referendum interviene infatti sulle fonti stesse di un sistema giuridico, agendo con la stessa efficacia che ha l’emanazione di una legge. Quanto all’obiezione sollevata da chi ritiene che sia possibile sottoporre una legge a referendum solo dopo che questa sia stata in vigore per un periodo di tempo sufficiente a «sperimentarla», Rescigno ha osservato che tale argomento è a tal punto inconsistente che, all’epoca della discussione sull’introduzione del divorzio, l’insigne giurista cattolico Gabrio Lombardi propose di indire un referendum sulla legge prima ancora che questa fosse varata, giustificando la proposta sulla base della gravità della materia e della profondità delle trasformazioni che un simile intervento legislativo avrebbe prodotto sulla società italiana.
Entrando nel merito delle questioni relative alla fecondazione assistita, Rescigno ha notato anzitutto come probabilmente l’intervista di Veronesi citata da D’Agostino risenta di condizioni contingenti che le conferiscono un tono particolarmente aspro. Ha poi messo in evidenza come le condizioni concrete di dialogo su questo tema, nello scorcio di legislatura attuale, che presenta tra l’altro numerose urgenze di altro genere, siano pressoché inesistenti; anche perché l’eventualità di un riesame della legge che muova solo dai quesiti referendari non è in effetti plausibile. Ciò non toglie, tuttavia, che i quesiti investissero aspetti della legge legittimamente controversi e suscettibili di miglioramento, e che si debba tener conto altresì di come le materie che sono state oggetto della consultazione restino aperte al giudizio di costituzionalità: i quattro quesiti non devono quindi esaurire l’ambito del dialogo possibile, ma possono costituirne almeno una parte.
Rescigno ha infine messo in luce come anche su altre questioni vi sia un margine di dialogo. Alcuni degli embrioni soprannumerari, ad esempio, non sono più utilizzabili a fini procreativi e dunque si potrebbe pensare di destinare solo questi alla ricerca. Così come il divieto della diagnosi pre-impianto, che attualmente viene a coesistere, nell’ordinamento, con la possibilità dell’aborto terapeutico, crea quantomeno uno squilibrio. Ad un livello generale di principio, infine, l’assegnare personalità giuridica agli embrioni va ben al di là della mera affermazione per cui ad essi sono attribuibili dei diritti, e ciò comporta gravi difficoltà pratiche per il legislatore: in genere, nell’elaborazione dei codici civili, si tende ad evitare affermazioni così impegnative sul piano teorico, sulle quali è pressoché impossibile il raggiungimento di un accordo, per intraprendere percorsi più efficaci in vista di una riduzione – e non di un’esasperazione – delle difficoltà che eventualmente sorgano sul piano pratico.
Vittorio MATHIEU, pur contrario alla fecondazione medicalmente assistita in generale, si è dichiarato a favore dell’utilizzo a fini di ricerca degli embrioni soprannumerari. Ha quindi sottolineato la necessità di distinguere la personalità umana da quella giuridica, attribuibile non esclusivamente ad esseri umani e ha ricordato come nel diritto romano il nascituro fosse rappresentabile legalmente per questioni di eredità da un curator ventris.
Sono intervenuti dal pubblico: il genetista Gianni BRENCI, che ha voluto evidenziare la superficialità che si riscontra spesso nei dibattiti su queste materie, e persino una certa ignoranza di fondo degli elementi fondamentali dell’embriologia, soprattutto da parte di chi sostenga la non-umanità dell’embrione; e il filosofo Stefano SEMPLICI, che ha sottolineato – al di là delle difficoltà messe in evidenza da D’Agostino – l’urgenza di una ripresa del dialogo tra i fronti che si sono contrapposti in occasione della campagna referendaria, a meno di non voler condannare il paese ad un convulso periodo di rissa permanente che rappresenterebbe un ulteriore e grave impoverimento del capitale sociale. Essendo legittimamente controverso il problema dello statuto dell’embrione, è più produttivo orientare il dibattito sull’individuazione di procedure di limitazione del conflitto che abbiano un costo tecnico sopportabile tutte le posizioni in gioco.
Nell’intervento di replica, Pietro RESCIGNO ha dichiarato di condividere lo spirito e il contenuto dell’intervento di Semplici. Non si può pretendere che il dialogo significhi intesa e scoperta di comuni idee su questo o quel punto; e dunque è necessario evitare che la disputa continui a focalizzarsi sulle questioni più controverse. Ritenere che i quattro quesiti esauriscano l’orizzonte del dialogo è quanto meno un’ingenuità dal punto di vista politico. Tra l’altro, Rescigno ha criticato l’operato della Corte Costituzionale che ha ritenuto ammissibile soltanto le richieste di abrogazione parziale della legge, argomentando come in certi casi sia meglio il vuoto normativo piuttosto che una legge criticabile. Nonostante questi limiti, e nonostante le critiche avanzate da D’Agostino, è comunque necessario e opportuno, secondo Rescigno, che il confronto riprenda proprio dai quattro quesiti referendari, tenendo conto sia dei problemi di validità costituzionale che essi mettono in evidenza, sia del fatto che si tratta di temi chiave e ineludibili.
Francesco D’AGOSTINO ha innanzitutto ripreso i rilievi mossi da Mathieu osservando che: a) il fallimento del referendum non è neutrale e anzi ha dato un’indicazione molto precisa; b) la distinzione tra ricerca e sapere, che vorrebbe riservare solo alla prima, ma non al secondo, la subordinazione ad un controllo etico, sfuma nel momento in cui si consideri che non vi è sapere al di fuori di una concreta pratica di ricerca; c) nel caso in cui si riuscisse a realizzare dal punto di vista tecnico la possibilità di un utero artificiale, verrebbe definitivamente meno ogni possibilità di attribuire un qualche primato al sesso femminile nell’ambito della genitorialità.
Quanto alle considerazioni di Rescigno, D’Agostino ha sostenuto l’inconsistenza giuridica della nozione di «vuoto normativo». Nel caso in cui su una certa materia non vi siano esplicite indicazioni di comportamento in un testo di legge, si ricorre inevitabilmente a norme implicite ispirate ad una concezione o radicalmente restrittiva (ciò che non è esplicitamente permesso è vietato) o radicalmente libertaria (ciò che non è vietato è permesso), come in effetti accadeva in Italia prima della legge 40. D’Agostino si è quindi intrattenuto sulla possibilità di procedere ad un’armonizzazione tra la legge 40 e la legge 194, tenuto conto di una sentenza della Corte Costituzionale del 1997 sulla tutela della vita prenatale, e sulle difficoltà connesse alla proposta di consentire alla ricerca sugli embrioni soprannumerari non più utilizzabili a fini procreativi; difficoltà che sarebbero risolubili se affrontate in stretta connessione con la proposta di introdurre l’adozione pre-natale.