Francesco D’Agostino – NON C’É GIUSTIZIA SENZA AMORE

1. A chi insiste nel mostrare la cecità della sorte, il Torquato Tasso di Goethe (2° atto, terza scena) obietta in due splendidi versi che anche la giustizia è bendata e chiude gli occhi davanti a ogni miraggio. Anche in questo, come in moltissimi altri casi, Goethe riassume magistralmente una tradizione radicata e antichissima. L’idea che la giustizia non veda,anzi che non debba vedere,è costante nella tradizione iconografica dell’Occidente [L’idea che la giustizia non veda è costante nella tradizione iconografica dell’Occidente] e trova le sue radici sia nella tradizione ebraico-cristiana che in quella greca. Quando negli Atti degli Apostoli (X, 34-35) Pietro confessa che Dio, nella sua somma giustizia, non fa preferenza di persone,l’espressione che poi la Vulgata ha reso con non est personarum acceptor Deus suona in greco prosopolemptés:termine in cui è evidente la presenza del termine prósopon,che significa volto:in altre e più rozze parole Dio è giusto, perché non guarda in faccia a nessuno. Ma come la giustizia, la compiuta e perfetta giustizia, è cieca,così deve anche essere sorda:non può e non deve prestare orecchio a preghiere e a suppliche. Il tema emerge con molta efficacia in Livio (Ab urbe condita, II.3), quando egli ci narra del dibattito

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L’occasione perduta dei liberali

Gianfranco Pasquino L’intervento di Cofrancesco è viziato da una premessa sbagliata. Il fascicolo “Liberali, davvero!” non intende affatto essere una replica a “Quelli che… la democrazia”. Nessuno di noi veniva colà criticato e, personalmente, condivido molte delle critiche rivolte a quei sedicenti (sic) democratici. I contributi a “Liberali, davvero!” stanno in piedi, alti e ritti, da soli senza bisogno di nessun antenato e nessun supporto. Mirano a mettere in rilievo le inadeguatezze, le contraddizioni, le problematiche irrisolte nelle analisi della politica italiana e della (quasi inesistente) etica pubblica di alcuni sedicenti (sic) liberali, ovvero di commentatori e studiosi che tali, orgogliosamente, si dichiarano. Il richiamo ai classici non è esercizio da eruditi, ma è essenziale per ripensare oggi il liberalismo, non solo italiano. Non capisco perché Cofrancesco e altri ci accusino di anti-berlusconismo, un tema assolutamente marginale nei nostri capitoli. Giusto, invece, lo ribadisco, criticare coloro che non criticano le caratteristiche illiberali del berlusconismo: conflitto di interessi, interpretazione della sovranità popolare, uso strumentale della religione, insistita sfida alla separazione dei poteri, duopolio televisivo. Non capisco, poi, perché Cofrancesco scriva addirittura trenta mila battute se ritiene che, cito, “rispondere alle argomentazioni dei liberali davvero, è tempo sprecato”. Nessuno di noi, collaboratori

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