31 maggio 2005, Roma
Sala delle Colonne – Palazzo Marini – Via Poli, 19
Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io e perché non sono te?
Perché sono qui e perché non sono là?
Quando comincia il tempo e dove finisce lo spazio?
P. Handke
Le questioni di bioetica chiamano in causa sempre domande fondamentali. Suscitano confronti che, specie se affrontati sulla scorta delle urgenze dell’attualità, costringono posizioni e toni ad inasprirsi e rischiano di assumere il carattere di scontri meramente distruttivi. Nella convinzione che questo non sia l’unico esito possibile di un conflitto di opinioni, la Fondazione Nova Spes si propone di avviare, con questo incontro, una serie di iniziative che offrano a voci autorevoli, di competenze e orientamenti diversi, lo spazio per una riflessione serena e rigorosa.
Il tema della fecondazione eterologa, pur dando luogo, rispetto ad altri, a contrapposizioni meno nette, nasconde risvolti estremamente delicati, che investono l’identità personale e collettiva: come si definisce l’identità di colui che viene al mondo, rispetto a quella di coloro che lo mettono al mondo? Come dirimere i casi in cui i rispettivi diritti sembrano entrare in conflitto? In che termini si può parlare di un diritto all’identità? E qual è l’identità – ammesso che sia una, e che abbia tratti ben marcati – della coppia?
Solo facendosi carico, senza riduzionismi, della complessità cui rimandano questi interrogativi, che costringono a muoversi sul crinale tra natura e cultura, si può tentare un pensiero rispettoso dell’uomo e della sua identità. E tale identità, fin dai primi momenti della sua formazione, è spesso anzitutto questione di domande, piuttosto che di risposte.
Laura PAOLETTI, Segretario Generale Fondazione Nova Spes
Atti:
I lavori sono stati aperti, in qualità di moderatore, da Stefano Semplici, che ha sottolineato anzitutto le scelte di metodo e di contenuto che hanno ispirato l’organizzazione dell’iniziativa: per quanto riguarda il metodo, Semplici ha messo in luce come, coerentemente con la propria tradizione, Nova Spes abbia voluto offrire a voci diverse ed autorevoli l’occasione di un confronto di alto livello e il più possibile inclusivo: convinzione ispiratrice degli organizzatori, infatti, è che un conflitto distruttivo non sia l’unico esito possibile di un confronto di opinioni, nemmeno nel caso in cui questo verta su delicatissime materie di bioetica, cui la Fondazione intende dedicarsi con una riflessione ampia e con altre iniziative nel prossimo futuro. Per ciò che concerne il contenuto, invece, Semplici ha notato come la scelta di uno solo dei temi oggetto di consultazione referendaria miri a sottolineare la natura eterogenea delle questioni in gioco. Il quesito che riguarda la fecondazione eterologa, in particolare, non chiama in causa la complessa questione dello statuto dell’embrione, coinvolge scelte di minore drammaticità e sembra dunque offrire una maggiore possibilità di accordarsi su un linguaggio condiviso, basato anzitutto sui diritti e sul principio del danno. Semplici ha quindi rapidamente richiamato le implicazioni sottese al tema in discussione: il problema dell’identità personale; la distinzione delle dimensioni biologiche, affettive, sociali e culturali; la necessità di tener conto dell’ordinamento giuridico nel suo complesso e in particolare dell’art. 30 della Costituzione, rispetto al quale già la legge sull’adozione dovette adottare particolari precauzioni, e dell’art. 235 del Codice civile, che norma le condizioni per il disconoscimento di paternità. Per quanto riguarda quest’ultimo articolo, l’ordinamento prevede che il disconoscimento sia attivabile in entrambe le direzioni (da parte del genitore nei confronti del figlio e viceversa), mentre la legge 40 prevede l’impossibilità di disconoscimento da parte del genitore che abbia dato (clandestinamente o al di fuori dei confini nazionali) il proprio consenso alla fecondazione eterologa, ma non si pronuncia per quanto riguarda il figlio. Semplici ha concluso la propria introduzione notando infine come accanto all’«identità» il titolo dell’incontro avrebbe potuto prendere in considerazione anche i «legami»: il quesito referendario riguardante la fecondazione eterologa, infatti, investe evidentemente non solo dimensioni monodiche, ma anche relazionali: si tratta di considerare temi complessi come la natura e le condizioni della coppia che si prende cura del figlio, quelle della famiglia, così come il rapporto di genitorialità nei confronti del bambino stesso.
Francesco D’AGOSTINO ha dato inizio alle sue considerazioni sottolineando la natura strettamente giuridica delle stesse. Tale impostazione non risponde solamente alla necessità di essere fedele alla propria vocazione professionale, ma anche alla constatazione dell’impossibilità di comprendere la natura specifica della fecondazione eterologa senza tener conto del risvolto giuridico della medesima: tale specificità non risiede nel fatto che la donna è fecondata col seme di un partner esterno alla coppia, ma nella richiesta di attribuire per legge la genitorialità sociale del bambino al partner proprio, con esclusione di ogni relazione giuridica tra il donatore dei gameti e il bambino stesso. È dunque del tutto fuorviante equiparare la fecondazione eterologa al ricorso, da parte di una donna sposata o unita a un uomo, all’unione sessuale con un partner diverso: questo infatti non ha nulla a che vedere con il fatto che questa donna possa pretendere dall’ordinamento giuridico l’attribuzione legale del figlio al marito sterile, il divieto del disconoscimento del figlio da parte del marito sterile (anche se in ipotesi consenziente) e l’esclusione di ogni vincolo di partenità fra il padre biologico e il bambino. Ad ulteriore riprova della difficoltà di mettere a fuoco il concetto di fecondazione eterologa nella sua peculiarità, D’Agostino ha menzionato l’equivoco in cui incorre chi confonde, come spesso accade, il divieto di quella con il divieto di donazione dei gameti, che la legge 40 non prevede in alcun modo. Incidentalmente, D’Agostino ha rimarcato l’opportunità di prendere atto che non esistono, se non in casi statisticamente irrilevanti, «donatori» di gameti, ma solo «venditori» di gameti: parlare di «rimborso spese» o di «donatrici a pagamento di ovociti», infatti, è un modo ipocrita per definire quella che è invece un vera e propria transazione commerciale. Esiste un valore di mercato per i gameti, sia maschili che femminili, così come per tutto ciò che riguarda la fecondazione eterologa, come ad esempio l’affitto dell’utero. La legge, dunque, mira ad impedire non tanto la cosiddetta «donazione» dei gameti, quanto il fatto che si attivino procedure per escludere la paternità sociale del padre biologico. Il problema allora diventa quello di capire fino a che punto si possa accettare uno stravolgimento così significativo dell’ordinamento giuridico per quanto riguarda la paternità, la maternità e la filiazione come sono state sempre intese, ossia con un forte radicamento nell’aspetto biologico e naturale.
D’Agostino ha dunque citato la posizione di Barbera che ha rilevato, da giurista, la difficoltà di avallare giuridicamente la fecondazione eterologa, se non al prezzo di alterare la coerenza dell’ordinamento giuridico. Basta prendere in considerazione l’articolo 29 della Costituzione, per esempio, che definisce la famiglia come «società naturale»: quale che sia l’interpretazione, più o meno estesa, di ciò che deve intendersi come «famiglia», certo è che il peso dell’aggettivo «naturale» non è irrilevante. Inoltre è difficile negare per legge il diritto del bambino a conoscere la verità sulle proprie origine naturali e biologiche: ci sono, per esempio, fondamentali interessi che concernono il diritto alla salute. Un diritto simile non può certo essere disconosciuto in nome dell’interesse genitoriale di una coppia: tra il diritto alla salute e quello alla procreazione non c’è simmetria. Non è semplice neanche escludere il genitore biologico dal diritto previsto dalla Costituzione (articolo 30) di aver cura dei propri figli. Infine è assai difficile che si possa negare il diritto a sapere la verità sulla propria origine, indipendentemente da motivazioni di tipo sanitario: come afferma una epocale sentenza della Corte Costituzionale del 2000, si tratta di un «diritto costitutivo della propria identità personale». Non a caso in molti paesi europei (dalla Svezia all’Olanda) si è proibito l’anonimato dei donatori di gameti. Per queste ragioni di coerenza ordinamentale, anche se in Italia diventasse legale la fecondazione eterologa non si potrebbe mantenere, secondo D’Agostino, l’anonimato dei venditori di gameti.
In conclusione, D’Agostino ha invitato ad una riflessione sulla possibilità che le tecniche di fecondazione eterologa portino a pratiche di selezione eugenetica: i gameti venduti sono sottoposti a verifiche di qualità eugenetica o persino, come accade negli USA, di tipo razziale. È inimmaginabile, del resto, attivare una pratica di fecondazione eterologa in una società complessa senza prevedere la possibilità che la coppia abbia la garanzia che i gameti rispondano a certi propotipi di tipo genetico e razziale. E questo rischia di reintrodurre discriminazioni che da tempo sono state radicalmente rifiutate dal nostro ordinamento giuridico.
Lo spirito di confronto sincero e aperto tra posizioni differenti, che ha portato all’organizzazione di questa iniziativa, è stato evidenziato da Sebastiano MAFFETTONE all’inizio del suo intervento: nell’ambito della discussioni su temi di bioetica – ha sottolineato – è notevolmente difficile ottenere certezze indubitabili, perché le premesse da cui i diversi ragionamenti muovono sono spesso determinate da ideali di riferimento non completamente dimostrabili. Sulla base di questa consapevolezza Maffettone ha quindi posto a tema il rapporto tra convinzioni personali, norme giuridiche ed istituzioni politiche; e le sue analisi si sono rivolte alla legge 40 considerata nel suo complesso, dunque non solo al problema della fecondazione eterologa. L’atteggiamento che ha portato all’approvazione delle norme in materia di fecondazione assistita è stato caratterizzato, per Maffettone, da una sostanziale chiusura al confronto da parte di coloro che hanno redatto il testo, ed in Parlamento è mancata una discussione adeguata sulla questione, così che il referendum ne è scaturito come conseguenza quasi inevitabile. Dal punto di vista dell’etica pubblica e in un’ottica liberale il voto si presenta allora come sede importante per una discussione sui temi in questione, sui quali nessuno può, aprioristicamente, pretendere di possedere la verità; è quindi indispensabile non perdere l’occasione di un dibattito che coinvolga l’intera società, al contrario di quanto affermano i sostenitori dell’astensione.
È necessario poi, ha proseguito Maffettone, distinguere all’interno della legge 40 le questioni che attengono alla difesa della vita e ai diritti dell’embrione, da quelle, come la fecondazione eterologa, che riguardano piuttosto stili di vita. E su entrambi i piani la legge si espone a critiche. Sul piano del modo con cui difende il principio della vita, perché in nome di esso scoraggia in vari modi la procreazione assistita, frena la ricerca scientifica ed espropria le donne di diritti storicamente acquisiti (mettendo in questione, tra l’altro, la legge sull’aborto); per quanto riguarda nello specifico la fecondazione eterologa, poi, la legge è persino illiberale: vietando tale pratica, infatti, si pretende di imporre uno stile di vita particolare alla totalità della popolazione.
Sarebbe stato molto più ragionevole, secondo Maffettone, intervenire solo a livello procedurale su queste discipline, senza pretendere di imporre norme su questioni di ambito ontologico-morale; si sarebbero infatti evitate prese di posizioni ideologiche e il pluralismo ne sarebbe risultato garantito. È indispensabile, infatti, in una democrazia liberale, distinguere il piano giuridico da quello morale, e ciascuno deve essere pronto ad ammettere sul primo livello qualcosa di ciò che sul secondo non ritiene corretto; nessuno dovrebbe accettare, infatti, che la propria visione morale venga imposta a livello di legge dello Stato a tutti i cittadini. In questo caso, invece, si è presa una decisione che si avvicina molto, pur in effetti senza rispecchiarle in pieno, alle posizioni dell’etica cattolica; si è optato cioè per una posizione che schiaccia in maniera piuttosto netta il piano giuridico su quello di una morale particolare.
Riassumendo le proprie considerazioni, Maffettone ha sostenuto di criticare l’impianto della legge 40 in generale e le modalità con cui si è arrivati ad approvarla; il fatto, nello specifico, che si siano prese decisioni normative che riconducono troppo il piano giuridico a quello morale; e la propaganda a favore dell’astensione, che in un’ottica liberaldemocratica di etica pubblica è per lui inaccettabile.
Condividendo l’affermazione che le questioni di bioetica sono legittimamente controverse, anche Claudia MANCINA ha aperto il proprio intervento dichiarando di apprezzare lo spirito con cui l’incontro è stato indetto. Quanto al tema specifico della fecondazione eterologa, Mancina ha messo in luce come la questione sia stata trattata meno rispetto a quelle che riguardano lo statuto dell’embrione; e ciò è avvenuto nonostante questa materia specifica dia adito a perplessità ancora più estese rispetto alle altre: molti si sono dichiarati contrari solo al quesito che riguarda questo tema in particolare. Pur condividendo la tesi di D’Agostino, per cui la fecondazione eterologa introduce un disordine nelle relazioni familiari, il problema va affrontato, secondo Mancina, non solo da un punto di vista strettamente giuridico, ma anche sotto un profilo etico. La famiglia non è, evidentemente, una nozione solo giuridica. E il suo valore etico è determinato non dal modo in cui essa è costituita, ma dalla sua capacità di svolgere la funzione di accudire, allevare ed istruire i figli, nell’amore e nella fiducia.
Affrontando la questione dell’identità del nascituro, Mancina ha sostenuto come, nel diritto del bambino a conoscere il proprio genitore biologico vadano distinti diversi aspetti. In primo luogo vi è la necessità di conoscere, per ragioni di salute, il proprio corredo genetico: per risolvere questo aspetto è sufficiente prevedere che le «banche del seme» conservino una mappa genomica del donatore, senza che ciò violi l’anonimato del donatore stesso. Per quanto riguarda invece la necessità di conoscere l’identità del proprio genitore biologico, si tratta secondo Mancina di capire che cosa si intende per «genitore». Il donatore di gameti non può essere definito tale, perché dona una parte separabile del suo corpo per aiutare la ricerca medica o per un piccolo compenso, ma senza l’intenzione di procreare; e l’espressione «genitore biologico» è intrinsecamente errata. La procreazione assistita, e la fecondazione eterologa nello specifico, cambiano la sostanza dei rapporti, e dunque non si possono utilizzare categorie obsolete per affrontarla. Mancina, comunque, ha voluto sottolineare la propria non contrarietà alla possibilità di prevedere una norma che ammetta la fecondazione eterologa prevedendo l’abolizione dell’anonimato del donatore, anche se si deve tener presente come ciò scoraggerebbe decisamente la pratica: ma scoraggiare è comunque altro dal vietare, e dunque questo potrebbe essere un compromesso ragionevole.
Più complessi sono i problemi che investono l’identità personale del bambino. La famiglia, nella società contemporanea, sta attraversando profonde trasformazioni provocate dal divorzio, dal fenomeno delle donne sole ecc…, ossia da una serie di situazioni riconducibili ai processi di indipendenza della donna; la fecondazione eterologa non produce queste trasformazioni, ma vi si inserisce. E tali trasformazioni non distruggeranno la famiglia, istituto che nel passato ha subito altre violente scosse e che ciononostante ha mostrato una capacità di resistenza e di adattamento notevoli. Per quanto riguarda, poi, l’obiezione alla fecondazione eterologa mossa dagli psicoanalisti, per cui si avrebbero problemi nell’elaborazione inconscia della filiazione e resterebbe nel bambino il cosiddetto «fantasma» del genitore biologico, Mancina ha messo in luce come il processo per cui ci si immaginerebbe anche figli di altri faccia parte del processo di crescita di ognuno: la verità sulla propria genealogia non impedisce ai bambini di inventarne una a proprio piacimento; con la fecondazione eterologa si ricevono dunque solo «nuovi spunti» per l’elaborazione di questo processo. Il pericolo del «fantasma» del genitore biologico va perciò ridimensionato; il che non vanifica la questione relativa al modo in cui informare il bambino della propria nascita. L’esperienza dell’adozione testimonia che c’è una spinta a sapere, cui si deve rispondere con un’informazione trasparente: ma in tale ambito si è passati dalla vergogna al valore. Ed inoltre è necessario tener distinto il fenomeno dell’adozione da quello della fecondazione eterologa, perché nel primo caso si ha alla base l’esperienza di un abbandono, mentre nel secondo si ha una decisione consapevole di mettere al mondo da parte della coppia genitoriale. La pretesa del riconoscimento giuridico di questa filiazione si basa proprio su questo momento intenzionale, che deve avere rilevanza maggiore rispetto al fatto che il bambino nasce con una parte di materiale genetico esterno.
Nel problema dell’asimmetria che la fecondazione eterologa introduce nella coppia, Mancina riconosce la questione effettivamente più delicata, ancor più di quella relativa all’identità del bambino. Legittimamente i critici di parte cattolica e di formazione psicoanalitica mettono in luce il rischio di sperequazione della coppia, soprattutto nel caso di donatore esterno maschile, perché in ambito procreativo la donna possiede già di per se un maggiore potere, che così verrebbe ulteriormente accentuato. Bisogna dunque riconoscere questo aspetto problematico, bilanciandolo però anche con gli esiti alternativi alla fecondazione eterologa, che possono essere o la rinuncia al figlio o la rottura della coppia, due conseguenze molto gravi. L’adozione, infatti, non può essere messa in alternativa secca alla fecondazione eterologa (o artificiale in generale), perché è una realtà diversa che non riguarda soltanto le coppie infertili.
Infine Mancina ha considerato la questione dell’identità della società e ha sottolineato come sia opportuno distinguere il piano delle istituzioni politiche, in cui il modello liberal-democratico che garantisce il pluralismo sembra offrire le maggiori garanzie, dal piano etico: porsi la domanda sull’identità della società da un punto di vista dei valori è autocontraddittorio, perché il tratto distintivo del mondo occidentale è proprio il pluralismo etico. Non esiste un soggetto collettivo che decide dove va la società, ma l’unica via con cui si decidono questi processi è quella del dibattito pubblico. È necessario allora utilizzare, in questi ambiti, solo argomenti di tipo prudenziale. E la fecondazione eterologa, secondo Mancina, non presenta elementi che possano farla definire immorale. Ma anche se tali aspetti vi fossero, sarebbe necessario distinguere nettamente il piano giuridico da quello morale.
SEMPLICI ha quindi ripreso la parola, rivolgendo domande a ciascuno dei relatori: a D’Agostino ha chiesto se l’asimmetria nella coppia non sia attenuata nel caso di sterilità femminile, in cui la conduzione della gravidanza parrebbe bilanciare la sperequazione. A Maffettone ha domandato innanzitutto se impostare la questione della fecondazione eterologa in termini di scelta di stili di vita non risulti fuorviante e non misconosca il rischio di eventuale danno nei confronti del figlio; in secondo luogo se l’idea di crioconservazione dei gameti femminili non possa essere una via opportuna di mediazione per tutelare la salute della donna e i diritti degli embrioni. Infine, rivolgendosi a Mancina, Semplici ha sostenuto che è difficile riconoscere l’importanza di un problema di asimmetria nella coppia, e contemporaneamente negare ogni rilevanza agli aspetti biologici della procreazione.
Nell’intervento di replica D’AGOSTINO ha anzitutto riproposto la questione del danno, sostenendo di condividere il modello liberale e la distinzione tra morale personale e diritto. La fecondazione assistita non riguarda però il pluralismo etico, ma la tutela di soggetti deboli che possono essere danneggiati da pratiche sociali. Il diritto in questo caso non ha nessun carattere repressivo, ma un carattere di promozione e di tutela di soggetti che nella società potrebbero essere sopraffatti, quale il concepito, i cui diritti sono difesi nella legge 40. E pur essendo oggetto di discussione fino a che punto il concepito possa essere definito soggetto di diritti, D’Agostino ha sostenuto che in caso di dubbio il principio di precauzione vieta di rischiare la soppressione di una persona. Sarebbe paradossale, in una società che avvia tutele di diritto nei confronti degli animali, non difendere la vita pre-natale. D’Agostino ha poi criticato alcune delle tesi sostenute dagli altri relatori, sostenendo che: la discussione della legge in parlamento non è stata affatto insufficiente, visto che è durata quindici anni; la fecondazione eterologa non è questione che attiene gli stili di vita, perché coinvolge l’aspetto molto più complesso dei diritti del bambino e della eventuale possibilità, per lui, di disconoscere i genitori sociali; il divieto di ricerca sulle staminali embrionali non ha sottratto nulla alla ricerca scientifica, non essendoci nessun risultato concreto in questo ambito (al contrario di ciò che si riscontra per le staminali adulte); la legge 40 non è lesiva della salute della donna, visto che dal punto di vista scientifico è del tutto aperto se un’iperstimolazione ovarica forte sia meno invasiva di molte stimolazioni leggere e ripetute; la diagnosi pre-impianto è consentita purché i metodi utilizzati non mettano a rischio la salute dell’embrione; l’impianto di un embrione malformato non è coercibile. D’Agostino si è invece dichiarato d’accordo sul fatto che l’abolizione dell’anonimato del donatore rappresenti un punto significativo di mediazione tra le posizioni; in questo modo, infatti, si eliminerebbe a livello giuridico il problema di tutela del soggetto debole, ossia del bambino; anche se, come evidenziato da Mancina stessa, ciò comporterebbe la drastica riduzione della pratica stessa.
MAFFETTONE ha sottolineato come nella questione della fecondazione eterologa il discrimine teorico di fondo tra posizioni opposte risieda nell’attribuzione di un primato alla natura oppure alla cultura. La fiducia e l’amore, per Maffettone, sono molto più rilevanti del rapporto di tipo biologico, nonostante la questione sia complessa come dimostra il fatto che vi è da parte di molti psicanalisti la tendenza ad una forte rivalutazione dell’aspetto naturale. Da un punto di vista etico, Maffettone ha difeso la propria scelta di impostare il tema rubricandolo nella categoria della scelta degli stili di vita, sottolineando come la discussione sulla fecondazione eterologa nasconda spesso l’idea che la procreazione vada legata necessariamente al matrimonio, nonostante l’evoluzione della famiglia metta evidentemente in crisi questa concezione. Sulla questione del potenziale danno per i bambini Maffettone ha sostenuto come i «fantasmi» di tipo psicologico sopravvivano attraverso le generazioni, per cui non è detto che ad un individuo concepito per fecondazione eterologa sarebbe precluso un normale sviluppo scandito secondo il modello edipico tradizionale.
Affrontere questioni controverse sul piano politico, secondo Maffettone, non può significare altro che ricorrere al voto come ultima istanza. Il richiamo al cosiddetto principio di precauzione, infatti, non risolve nulla: perché sia davvero dirimente bisogna aver già risolto il problema di partenza; bisogna cioè che si sia d’accordo sul peso da attribuire ai rischi alternativi che sono in gioco: nella fattispecie, se si hanno fondate speranze di poter guarire dei malati mediante l’utilizzo di cellule staminali embrionali, è giusto rischiare di sacrificare quelle che potrebbero essere vite umane. È opportuno quindi che anche su questioni così controverse si pronuncino i cittadini, perché in ciò risiede l’essenza di una democrazia.
MANCINA ha risposto alla domanda sull’asimmetria della coppia e sulla portata del dato biologico, ribadendo la distinzione tra identità del bambino e equilibrio della coppia. Riconoscere il pericolo di sperequazione non significa attribuire una rilevanza etica al dato biologico d’origine, quanto piuttosto tener presenti le condizioni in cui avviene la scelta di ricorrere alla fecondazione eterologa, che sono diverse tra uomo e donna, soprattutto da un punto di vista psicologico. Non è affatto necessario, tuttavia, che una perplessità su questa possibile asimmetria si traduca in un divieto legislativo: si tratta solo di prestare particolare attenzione alle implicazioni di questa pratica di fecondazione assistita. Sulla questione dell’anonimato del donatore Mancina ha confermato la propria disponibilità a discutere, pur precisando che questo non implica una contrarietà di principio all’anonimato.
Mancina ha inoltre evidenziato una incompatibilità giuridica tra i diritti del concepito enunciati nella legge 40, da un lato, e la legge 194 e il Codice civile, dall’altro; la tutela del debole, tra l’altro, può esser garantita in modo diversi, per esempio intendendola nei termini di doveri da parte degli adulti nei confronti del concepito, piuttosto che di diritti di quest’ultimo.
Infine, Mancina ha sottolineato come l’utilizzo dei referendum su materie come queste non sia criticabile se non con l’argomento aristocratico che mette in dubbio la democrazia in generale. È invece apprezzabile, in una democrazia matura, che su queste materie possano pronunciarsi i cittadini, e che il voto produca un ampio dibattito pubblico nella società.
Agenda:
Inizio lavori ore 17,00
Modera l’incontro
Stefano SEMPLICI, Etica sociale
Interventi di:
Francesco D’AGOSTINO, Filosofia del diritto
Sebastiano MAFFETTONE, Filosofia politica
Claudia MANCINA, Etica dei diritti
Pietro SCOPPOLA, Storia contemporanea